7.10.09

Robert Morris

Robert Morris nato nel 1931 a Kansas City (Missouri) è riconosciuto dalla critica come uno dei più importanti artisti della scena internazionale attuale.
Nella sua opera che, al pari dei suoi numerosi scritti, ha largamente contribuito alla definizione dell'arte minimale e concettuale, l'artista ha utilizzato tutti i mezzi espressivi che l'arte mette a disposizione: scultura, disegno, pittura, ma anche film, video, installazioni, performance, costruzioni ambientali (earthworks o land art).
Numerosi musei hanno ospitato mostre di sue opere, tra cui New York, Whitney Museum of American Art, 1970 - 1980 - 1986, e Washington, DC's Corcoran Gallery of Art Nel 1990.
Nel 1994, il Solomon R. Guggenheim Museum, New York, ha organizzato una grande retrospettiva sul lavoro dell'artista, che è stata presentata anche al Deichtorhallen di Amburgo ed al Musée National d'Art Moderne di Parigi. L'artista vive a New York City e Gardiner, New York. La riflessione di Robert Morris sul tema del labirinto – nell’accezione di dispositivo illusivo e d’inganno indirizzato ad un coinvolgimento attivo del fruitore – ha inizio con Passageway, un’opera che, nonostante non venga espressamente definita dedalo, ne assume le medesime caratteristiche strutturali e finalità disorientative.
Tale Environment viene concepito e presentato dall’artista nell’estate del 1961 all’interno di una serie di concerti e performance organizzati dal compositore La Monte Young nel loft di Yoko Ono a New York. Gli spettatori sono invitati ad attraversare – accompagnati dal suono registrato del ticchettio di un orologio e di battiti del cuore – un corridoio semicircolare, realizzato in legno compensato dipinto di grigio, lungo circa quindici metri.
Una volta varcata la porta d’ingresso dello studio, dalla quale ha inizio l’installazione in grande scala, gli invitati vengono introdotti e proiettati in uno spazio angusto e non rivelato; non viene offerta loro altra alternativa che quella di compiere un passaggio tra stretti muri che mano a mano si restringono fino a convergere ad angolo acuto in un punto morto.
Solo al raggiungimento del cul de sac gli spettatori comprendono, con stupore, che il corridoio nel quale si sono incamminati non ha la funzione di condurli da alcuna parte. Al di là di quel limitato spazio non li attende nessuna performance, nessun concerto da ascoltare: non rimane nient’altro da fare che tornare sui propri passi.
Il tema dell’intero evento risiede, dunque, esclusivamente nell’attraversamento fisico e psicologico del passaggio, nel tentativo to make palpable the body’s physical limits experienced as a reciprocal pressure between itself and the space around it.
L’esperienza vissuta tra i muri dell’installazione viene recepita dalla maggior parte del pubblico come frustrante e costrittiva; l’artista ricorda come alla fine di ogni giornata doveva ripulire i muri da tutta una serie di graffiti ed insulti. Tale “pressione” esercitata sui corpi degli spettatori e sulle loro aspettative richiama il medesimo desiderio di manipolare l’audience ed istigare all’aggressività proprio degli happenings organizzati a partire dal 1959 a New York.
Il primo sito realizzato nel 1998 a Lione prende dunque avvio da Untitled (Williams Mirrors), il quale intesse con le ulteriori opere esposte in tale occasione delle connessioni per assonanza o opposizione: Untitled (Portland Mirrors), Threadwaste (1968) e Mirror Film (1969) sono i tre lavori legati all’installazione di partenza da una concezione dello spazio in continua espansione data dalle mutevoli prospettive offerte dagli specchi.

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