10.10.11

Wolf Kahlen


Nasce il 7 Gennaio 1940 ad Aachen. Un'artista cimentatosi con i diversi media, dalla pittura alla fotografia, inoltre è un pioniere nella video arte e delle performance. Professore all'Università di Berlino dove attualmente vive. Negli ultimi anno ha lavorato come capo spedizione in Tibet di cui ne troviamo una raccolta sulla rete (www.wolf-kahlen.net/tibet-archive-berlin/ ). Nel 1960 intraprese gli studi presso la Scuola d'Arte di Braunshweig. La sua carriera universitaria è stata caratterizzata da viaggi all'estero. Durante il 1962 fu studente al Ateneum di Helsinki, in Finlandia, dove tenne la sua prima mostra. Vinse una borsa di studio che gli offrì la possibilità di studiare negli Stati Uniti, tra il 1965 e il 1966, presso il prestigioso Pratt Istitute di New York. Durante questi anni fece la conoscenza di numerosi artisti contemporanei.

Nel 1966, in Messico, girò un documentario sulle culture precolombiane, intitolato "Projektierte Architekturen "Environmental Sculptures for Mexiko".
 Lo storico Wolf Herzogenrath afferma che Kahlen, abbia creato uno spazio abitabile per lo spettatore. Kahlen spesso si descrive come "artista intermediale". Vi è un museo a Berlino, dedicato alla sue opere, tra le cui ricordiamo:
Young Rock: in una delle sue prime composizioni Kahlen, pone una pietra di granito sopra il televisore ed un parte di essa, al centro dello schermo. La riproduzione continua di uno sfondo grigio, senza suono, produce intorno alla pietra luce ondeggiante, così da darci l'illusione che l'oggetto galleggi nello spazio. Mette in risalto la separazione tra materialità solida e leggera, con le frontiere dello schermo.
Light incidence: può essere definito un autoritratto di Kahlen, è un immagine ambivalente poichè mentre viene catturata dalla videocamera, una parte della luce è rifratta in modo tale da crare uno effetto "bruciato" dovuta alla sensibilità del mezzo.
Noli Me Videre: una registrazione di 20 minuti video, su una performance offerta alla mostra internazionale di Libano, in Polonia, l'8 Dicembre del 1976. La prestazione consisteva di collocare l'artista tra delle pareti alte 3m, una sorta di cubo, aperto sulla parte superiore, ove era posta fissa una videocamera e dove gli spettatori potevano osservare cosa accadeva.
Reversibe Processle: una compilation di 7 episodi, in cui grazie alle tecnologie video sono state assemblate delle fotografie, che mostrano la crescita dei peli sul corpo dell'artista. Il taglio dei peli viene fatto ricreando linee dritte in contrasto con le curve del corpo.
S.H.A.F.E: fa parte della raccolta "Angleichungen" ed è un accostamento di 6 monitor che riprendono un gregge di pecore, con la particolarità che gli animali formano la scritta "shafe" ossia "pecore" in tedesco. Viene esaltato anche il sonoro.
Rope: l'artista fu chiuso a chiave, in una camera dell'AMERIKA-HAUS a Berlino mentre intrecciava una corda. Il processo viene mostrato ai passanti per strada, tramite dei monitor con un filo spinato intorno. Gli spettatori contribuiscono a prendere parte al progetto. L'artista vuole mostrare l'effetto su una linea retta ( la corda ) dell'azione delle due mani separate.
Mirror TV: l'artista ricopre lo schermo con una superfice occultante, mandando in produzione un video. Questo intervento è una critia al mezzo e alla sua superficialità.
"Ogni livello di esperienza umana è arte, espandibile considerevolmente. Sono interessato a questi livelli di esperienza, no al risultato del mezzo" -Wolf Kahlen-

Shirin Neshat



Shirin Neshat è un artista iraniana, nasce nel 1957 a Qazvin in Iran. Nel 1974, periodo della rivoluzione iraniana, lascia il paese d’origine e raggiunge sua sorella, negli Stati Uniti, per studiare arte. Shirin Inizia i suoi studi presso l’istituto domenicano a San Francisco in California ma La sua formazione si completa nel 1982 all’università di Berkeley dove conclude Bachelor of Arts (Laurea), Master of Arts ( Post-Laurea) and Master of Fine Arts (Più alto livello nel campo delle arti). A causa del cambiamento politico dovuto all’ instaurazione del regime islamico in Iran, a Shirin viene impedito di tornare in patria e di ricongiungersi con la famiglia, permesso che potrà avere soltanto nel 1990. Durante il suo primo viaggio in patria l’artista rimane colpita dallo stile di vita imposto ai sudditi e in particolare alle donne (obbligate ad vestire il chador) dal regime teocratico. Da questa visita, è maturata la decisione di dedicare il proprio lavoro alla riflessione sulle profonde differenze che separano la cultura occidentale,dove la figura della donna viene notevolmente esaltata e alla quale ella è ormai assimilata, e quella orientale , in cui il mondo femminile viene oppresso, dalla quale invece proviene. L’artista è riuscita a descrivere con fotografie ritoccate da poesie in lingua persiana e in video proiezioni, la condizione di guerra costante che affligge l’iran e la segregazione in cui le donne nel suo paese sono costrette a vivere. Le sue opere infatti, hanno come soggetto la donna e la sua condizione, nel confronto tra oriente e occidente. La Neshat è riuscita a descrivere con fotografie ritoccate da poesie in lingua persiana e in video proiezioni, la condizione di guerra costante che affligge l’iran e la segregazione in cui le donne nel suo paese sono costrette a vivere. Il primo ciclo di lavori legati a questo tema, sono le fotografie di “Women of Allah” in cui per sottolineare il profondo coinvolgimento nei temi che tratta, l’artista ritrae se stessa o insieme con altri, vestita con chador islamico. Le restanti parti del corpo sono coperte dalla scrittura calligrafica persiana: il Farsi. Essa viene tracciata a mano con inchiostro di china. Vengono riportati versi d’ amore di poetesse iraniane poichè, secondo Shirin la poesia è la voce che rompe il silenzio della voce ritratta. Nel 1996 raggiunge notorietà internazionale, imponendosi cm una delle giovani artiste più rappresentative della sua epoca. Interessata al cinema e al suo linguaggio, decide di allargare il cerchio della propria ricerca espressiva. Comincia così a realizzare anche video: il primo di questi è “ Anchorage”. il suo modo di proiettare si distingue dagli altri per la scelta di proiettare le sequenze su due schermi, opposti o accostati. In questo modo , i video assumono un andamento narrativo più accentuato e narrativo. Nel 1997 realizza “ The Shadow under the Web” in occasione della Biennale di Istanbul. Il video è composto di una proiezione in simultanea su quattro schermi. Nel 1998 invece viene realizzato “Turbulent” con il quale conquista il Primo Premio Internazionale. Questo lavoro vede la collaborazione di Shirin con Sussan Deyhim ( musicista e compositrice iraniana). Il 1999 è l’anno di “Rapture” e “Soliloquy” e nel 2000 invece viene realizzato, ancora su due schermi accostati, “ Fervor”, probabilmente il filmato più esplicito nella condanna della repressione del desiderio erotico. Nel 2001-02, Neshat ha collaborato con il cantante Sussan Deyhim e creato logica degli Uccelli , che è stato prodotto da curatore e storico dell'arte Rose Lee Goldberg . La produzione lunghezza multimediale in anteprima al Summer Festival Lincoln Center nel 2002 e girato al Walker Art Institute di Minneapolis e di Artangel a Londra. Col passare del tempo, il regime islamico dell'Iran diventa sempre più invadente e oppressivo e le opere d arte di Neshat diventano coraggiosamente critiche nei confronti del proprio paese. Nel 2006 Shirin si è aggiudicata la Dorothy e Lillian Gish Prize , uno dei più ricchi premi nelle arti, conferito annualmente a un uomo o una donna, il quale ha dato un eccellente contributo alla bellezza del mondo e la comprensione della vita.Nel 2009, Neshat ha vinto il Leone d'Argento per la migliore regia al 66 Festival del Cinema di Venezia per il suo debutto direzionale con ”Women without Men”, basato sul nome del romanzo di Shahrnush.Nel luglio dello stesso anno Shirin Neshat prende parte per tre giorni allo sciopero della fame presso la sede delle Nazioni Unite a New York per protestare contro le elezioni del 2009 presidenziali iraniane . Nel dicembre 2010 Shirin Neshat è stata nominata Artista del Decennio da Huffington.

Zbynek Baladran


Zbynek Baladran è un’artista ceco nato a Praga nel 1973. La sua formazione artistica inizia presso la Charles University (dove studia storia dell’arte) e l’Accademia di Belle Arti entrambe a Praga. Subito apprezzato il suo genio artistico gli permette di valicare i confini nazionali ed internazionali, esponendo in numerose mostre tra cui citiamo Manifesta 5, a cura di M. Gioni e M. Kuzma, Donostia-San Sebastián, Spagna (2004), The Need to Document Basel, a cura di V. Havranek, Kunsthaus Baselland, Basilea (2005), Closely Observed Plans, tranzit workshops, Bratislava (2006), Archeology of today?, Kosova Art Gallery-Museum, Prishtina (2006), Fussion Confussion, Museum Folkwang, Essen (2008); "What History do they represent?" insieme a Vangelis Vlahos, Blow de la Barra, Londra (2008); "Glossary", Secession Vitrine, Vienna (2008). La sua ben nota attività artistica, si incentra soprattutto nelle Videoinstallazioni e nell’organizzazione di eventi e promozione di giovani artisti dell’est Europa nello spazio espositivo di arte contemporanea Display (www.display.cz), chiamato così dall’artista proprio per dare al visitatore la sensazione di trovarsi di fronte ad uno schermo luminoso, dalla forma rettangolare, semplice e pulita, che come uno schermo cinematografico proietta sulla retina del visitatore sensazione visive, ideate e compiute dagli artisti.Questo spazio espositivo, privato e no-profit, fu fondato nell’autunno 2001 a Praga proprio partendo dall’esigenza che avevano i giovani artisti locali di trovare un proprio posto all’interno del panorama artistico ceco che però si distaccasse dai canoni e dai linguaggi tradizionali dell’arte.Ecco perché questo spazio d’Arte visiva sorge all’interno del distretto di Praga7 al centro della città vicino al Padiglione Fieristico (sede della Collezione di Arte Moderna e Contemporanea della Galleria Nazionale di Praga) e vicino all’Accademia di Belle Arti, per segnare un senso di continuità tra gli artisti ma insieme anche quello di rottura degli schemi tradizionali.Tra gli altri obiettivi, la fondazione Display, che gestisce il centro, si pone il fine di creare nuovi contatti tra le varie realtà artistiche locali e di diffondere le informazioni sui nuovi movimenti aritstici cechi in ambito visivo, sia in ambito nazionale che internazionale. Per far si che questo sia sufficientemente efficace Display, organizza anche mostre fuori dalla Repubblica Ceca e lo stesso Baladran collabora strettamente con le altre iniziative promosse da giovani ed artisti e curatori freelance. Dal 2007 collabora con il teorico Vit Havranek al progetto “Moument to transformation” che si occupa delle trasformazioni della società negli ultimi trent’anni. Ricordiamo, inoltre, che Baladran è stato il cofondatore di un altro spazio per l’arte contemporanea Tranzitdisplay gallery.Evento assolutamente da non trascurare è l’apertura nel 2008 a Milano, presso la Prometeogallery di Ida Pisani, la triplice personale di Zbynek Baladrán, Eva Stefani, Stefanos Tsivopoulos sotto il nome comune di The Archive. L’artista ceco e gli artisti greci sono tutti autori si video, che sono accomunati tra loro nella ricerca dalla messa in scena dello scarto tra realtà e finzione, tra memoria e sua riattivazione. Attenti indagatori della realtà, Baladrán, Stefani e Tsivopoulos conducono una ricerca sul duplice livello dei fatti della storia e delle immagini delegate a rappresentarli. Le procedure di registrazione, i meccanismi narrativi di costruzione della storia e il rischio di strumentalizzazione delle immagini sono messi alla prova dai lavori di questi tre artisti. Esploratori della realtà e archivisti del passato, Baladrán, Stefani e Tsivopoulos registrano i passaggi del tempo e decostruiscono la pretesa ideologica di filmare la vita “così come è” o “come era”, aprendo ad una molteplicità di esercizi di interpretazione individuale. Il titolo The Archive scelto da Marco Scotini per questa occasione intende fare riferimento non tanto al metodo di lavoro di questi autori quanto ai depositi documentari a cui attingono, agli archivi multipli che vanno a scovare per poi ri-filmare, alle immagini ritrovate e rimontate, fuori dal loro contesto originario. Found footage di varia provenienza è all’origine di tutti i lavori in mostra, pur nelle diverse strategie perseguite dagli autori e pur nei diversi campi d’azione su cui ciascun artista si muove. Comune a questi lavori è far saltare le coordinate del presente e interrogare la memoria. Zbynek Baladrán fa del cinema a partire dal cinema. Il suo intento è quello di interrogare i film di propaganda ufficiale della televisione cecoslovacca di Stato non tanto per ciò che documentano ma per le procedure di registrazione e i modi della percezione. Per mezzo di una “archeologia non invasiva” ogni video di Baladrán è un precipitato di fotografie, bobine amatoriali, vecchi reportage, cinegiornali che aspirano alla forma del documentario partendo da un montaggio arbitrario e da un ordine associativo soggettivo.

Mario Sasso


Mario Sasso è un artista che vive le sue esperienze di linguaggio da una posizione singolare. Egli non ha mai rinunciato alla sua formazione e alla sua “cultura professionale di pittore. Sasso sostiene di aver conservato l’impostazione del pittore in quanto sia il pittore che il videoartista sono dei “montatori di immagini. Però la sua pratica del linguaggio di comunicazione elettronica è quotidiana, ed esercitata dal versante in cui risulta indispensabile la massima efficacia simbolica di rappresentazione in una condensazione del tempo. La sua pittura ha molti obblighi, espliciti, verso la nuova visione elettronica. La sua attività è una delle manifestazioni più evidenti di come l'intelligenza artistica possa interagire con i mass-media senza tradire le aspettative del pubblico e l'intenzione creativa dell'artista. Sasso, che ha realizzato numerose installazioni e videosculture, nelle quali si intrecciano, in un'estensione originale di risorse espressive, diversi linguaggi (pittura, fotografia, video, immagini numeriche, musica, immagini cinematografiche, televisive, via satellite), ha concentrato la sua attenzione sullo spazio urbano, sul senso e sull'immagine della città, autentico leit-motiv poetico sotteso a tutta la sua esperienza artistica, sia plastica che videotelevisiva. Nella scelta dei suoi paesaggi urbani egli esalta la qualità ottica di queste letture sollevando il punto di vista e spingendo la risoluzione dal primo piano sino all’orizzonte. La luminosità fluorescente e opalescente del video è trasportata in una dimensione fisica più densa ma non meno rilucente. La notte esplorata dalle nuove telecamere, così diversa dalla piena luce della prima fotografia, è vissuta dentro una liquida evidenza notturna. Il tema della città-paesaggio che appartiene al mondo moderno come luogo di vita – di memoria e di impossibili solitudini – è centrale nel lavoro dell’artista. La qualità ottica della distanza si ribalta in quella psicologica e poetica, l’allungamento dell’orizzonte vanifica ogni presenza o segnala come un’impossibilità di arrivare alla risoluzione del primo piano delle figure. Luce e ombra non si danna se non per contiguità, non hanno gradienti. Questo dà, più che drammaticità, distacco dalle cose viste e, a evidenza, lungamente osservate. Si tratta di una “nuova visione in cui ogni romantico slancio o partecipazione è raffreddato, trasferito o rinviato. Il secondo aspetto del lavoro di Sasso interno alla pratica della televisione ha un debito di direzione opposta, ma egualmente diretto, verso l’universo delle immagini della pittura; tutti siamo abituati a richiami di grande efficacia come le sigle dei telegiornali. E’ indispensabile che l’animazione abbia una sua dinamica, che questa arrivi a una risoluzione stabile e coerente, che le posizioni del suono e dell’immagine si equilibrino in un rinforzo reciproco. Le sigle di Sasso hanno tutte una “qualità d’immagine decisa. La pittura e il movimento si confrontano in una misura di tempo produttiva e scandita con sapienza. A questo lavoro di “autore Sasso è arrivato con un operare fitto, che è andato configurando insieme una strategia pertinente e uno stile chiaro e riconoscibile. Mario Sasso, confrontandosi con il video e la pittura, dimostra come possono utilmente intrecciarsi in un nodo le due storie e le due pratiche; e tuttavia, senza che mai ne risulti confuso il filo continuo. Mario Sasso: “[…] L'interattività, a mio avviso, è ancora lungi dall'essere reale. Io, per interattività, intendo l’interazione di una persona su un racconto, per esempio, e nella sua possibilità di trasformarlo. Ma è veramente ancora lontano questo processo. Il suo principale interesse è quello di dimostrare come il video non abbia “ucciso l’arte, ma, al contrario, l’arte avvalendosi del video abbia l’opportunità di ripensare a forme e finalità. Mario Sasso“[…] Quindi, la questione tecnica non può essere un ostacolo alla cultura artistica. Sono convinto, invece, che aiuterà sempre di più gli artisti a trovare nuove forme di comunicazione. A Sasso non interessa se il video sta dentro o fuori dai musei perché può stare anche nelle stazioni ferroviarie e metropolitane, “quello che mi interessa, dice, “è di entrare in contatto con la gente, che invece dimostra ancora diffidenza verso la videoarte.

8.10.11

Miroslaw Rogala


Miroslaw Rogala nato nel 1954, in Polonia.

Video artista e artista interattivo, conosciuto per le sue performance e installazioni dove mette in relazione la sfida tra uomo e natura. La sua opera tesse le trasformazioni di immagini, collage di musica e movimento e una sfida diretta al pubblico. Il suo lavoro è stato esposto presso il Museum of Contemporary Art di Chicago, il Zetrum fur Kunst und Medientechnologie di Karlsrushe,in Germania, Centre for Contemporary Art, Varsavia in Polonia, e il teatro Goodan, di Chicago.Rogala ha lavorato con un ampio arco di artisti contemporanei come, Carolee Schneeman, Ed Paschke, Raymond Salvatore Harmon Zhou Brothers, Men Nordine, Jennifer Guo e molti altri. Alcune delle sue opee più conosciute sono: La natura ci sta lasciando (1989) ; MacBeth: le scene delle streghe (1988)
Lovers Leap (1995) dove ha usato due schermi uno di fronte all'altro e ha secondo dello spostamento dello spettatore tra gli schermi le immagini sarebbero cambiate.
Electronic garden\Naturealization (1996), un installazione sonora interattiva prodotta per la sultura di Chicago che è stato collocato nel centro di Washington Square Park di Chicago.
Divided We Stand (1997)
Rogala è stato anche coinvolto in numerose serie di opere per le quali ha manipolato fotografie utilizzando eye-view computer Mind's software sviluppto da Ford Oxaal.

6.10.11

Dieter Froese


Dieter Froese è nato il 9 ottobre del 1937, è stato un artista le cui opere hanno contribuito a definire il nucelo di ricerca della  New York degli anni '70. Froese è morto nella sua casa di Manhattan all'età di 68 anni. a causa del cancro, secondo quanto disse Kay Hines, moglie e partner creativo dell'artista.

Dieter Froese è stato uno dei primi artisti della video-installazione, ma si dedicò anche alla pittura, al disegno, alla fotografia, alla scultura, alla performance e al cinema sperimentale.
Le sue opere multimediali, mostrate nei più importanti musei di New York, così come in tutta Europa, sono stati elaborati in parte dalla sua esperienza di figlio di guerra.
Nel giro di cinque anni divenne membro di spicco tra gli artisti dediti alla videoinstallazione, con mostre importanti tra cui "Idee al Warehouse Idea" nel 1975 che fu  la prima mostra realizzata presso il PS1 Contemporary Art Center nel 1976.
La sovvenzione della Fondazione Ford lo convinse a trasferirsi negli Stati Uniti nel 1964 ma divenne residente permanente solo nel 1969.
Con la signora Hines, che sposò nel 1979, D.F. fondò "Dekart Video", produsse video anche per la televisione pubblica.
Il primo matrimonio di Mr.Froese finì con un divorzio.
Oltre che con la signora Hines, Froese visse assieme a due suoi cugini che lo ospitarono con il cessare della  guerra.

Sadie Benning


Sadie Benning (nata 11 Aprile 1973) è una video maker. un'artista visiva e musicale. Si è affermata nei primi anni '90 , nel Milwaukee Wisconsin, come un'adolescente video-maker. Cresciuta con la madre nell'entroterra di Milwaukee , Benning lasciò la scuola all'età di 16 anni , principalmente a causa della sua omofobia. I suoi primi lavori, fatti all'età di 15 anni, furono girati con la fotocamera Fisher-Price Pixelvision , registrando immagini in bianco e nero su cassette audio standard. Per i suoi primi lavori usò la fotocamera Fischer-Price PXL-2000 che le fu regalata per Natale da suo padre, il regista sperimentale James Benning. All'inizio Sadie fu scostante verso la fotocamera PixelVision. " Io penso che questa sia un pezzo di merda. E' in bianco e nero. E' per bambini. Mi disse che era una sorpresa. Mi aspettavo una videocamera".Le sue opere erano performance combinate di esperimenti narrativi, di grafica, cut-up musicali per l'esplorazione, di sessualità e altre materie di vario genere. Il suo lavoro è stato incluso 2 volte nella Biennale di Whitney. Nei suoi primi lavori, A New Year, Living Inside, Me and Rubyfruit, Jollies, and If Every Girl Had a Diary, Sadie usò dintorni isolati e come obiettivo principale se stessa. Nel suo primo lavoro, A New Year, Sadie si rifugia dalla parte anteriore della fotocamera, utilizzando come ambiente, in primo luogo i confini della sua stanza e la finestra della sua camera da letto, per rappresentare i suoi sentimenti d'angoscia, confusione e alienazione. Sadie dice in un'intervista :" Io non parlo,non ci sono fisicamente, il testo è tutto scritto a mano, la musica, volevo sostituire gli oggetti, le cose attorno a me, per illustrare gli eventi.Ho usato tutti gli oggetti a me vicini, televisione,giocattoli,il mio cane, a prescindere. Durante A New Year esplorò il tema della sua identità sessuale e della sua crescita.Benning ha usato spesso nelle sue opere la cultura pop come la musica, la televisione, i giornale , per amplificarne il messaggio e al tempo stesso parodiando su di essa.Spesso le immagini viste in tv o nei film la facevano arrabbiare e al stesso tempo la ispiravano : " Sono totalmente false e costruite per divertire e opprimere al tempo stesso-sono senza significato sia per le donne sia per le donne gay.Ho iniziato perchè avevo bisogno di immagini diverse e non ho mai voluto aspettare che qualcun altro lo facesse per me".L'uso di questi suoi mezzi di lavoro nn solo è prtico, ma fornisce allo spettatore una visione di come Sadie interagisce con il mondo. Nel 1991, il primo articolo riguardante il lavoro di Benning, fu scritto da Ellen Spiro, e venne pubblicatosul giornale nazionale gay The Avocate.Più il suo lavoro progrediva, più Sadie diventava confortevole con se stessa usando come immagine il suo corpo e la sua voce creando un'importante texture per i suoi video.Nell'opera If Every Girl Had a Diary, Sadie utilizza i limiti della PixelVision per ottenere estremi primi piani del suo volto, occhi, e dita, per portare lo spettatore ad un livello molto più intimo e personale con se stessa, tirando il pubblico alla sua faccia mentre lei racconta la sua vita e i suoi pensieri. Senza alcun riguardo per la formazione di una persona ,la razza, l'identità sessuale, Sadie permette allo spettatore di entrare nel suo mondo, la sua mente, la sua cella, il suo luogo di rifugio e di recupero."I video di Benning sono audaci autoerotiche e autobiografie, e la capacità di far sembrare la machina una parte di sè, ed un'estensione del suo corpo, invitano il pubblico a conoscerla". Durante il decennio ha co-fondato Le Tigre, una band femminista post-punk di cui facevano parte ex-Bikini Kill singer/guitarist Kathleen Hanna and zinester Johanna Fateman.Poi lasciò la band. Nel 2004, Bill Horrigan ha curato una retrospettiva sulle sue opere visive. Nel 2006, in collaborazione con Solveig Nelson, creò un progetto video installazione two-screen.Il video ha debuttato al Wexner nel 2007 durante la mostra "Sadie Benning: Suspended Animation". Nel settembre del 2007 "Play Pause" ha debuttato al Dia Center in New York. In concomitanza con l'installazione di Dia, Ochard Gallery espone i suoi disegni astratti, le video installazione, le sculture a parete, e "play/pause", che portò al record nella mostra personale Form of...a waterfall". Nel 2007 furono incluse 2 opere alla White Colomns Annual. Alcune mostre recenti includono Play/Pause: Power Plant Gallery (2008), e la 7 Biennale di Gwangju (2008).

28.9.11

Iginio De Luca

Le manifestazioni artistiche del ventunesimo secolo - tra le quali soprattutto la Street Art - contagiano tutti, esperti e non, riscontrando sempre più consensi in ogni ambiente della società. Convergono, però, in un unico intento: comunicare un messaggio a chiunque vi entri in contatto. Uno dei maestri della comunicazione artistica è Iginio De Luca, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma e Professore all’Accademia di Belle Arti di Torino. Vanta un curriculum di oltre venti mostre, tra personali e collettive, ed è uno dei principali promotori delle nuove forme d’arte: dalla Street Art alla pittura, dal video all’installazione, dal suono all’elaborazione fotografica.Nel suo bagaglio artistico presenziano innumerevoli lavori che, in un certo senso, rompono con la “vecchia arte”. Dunque la parola chiave è comunicare. Oggi viviamo in una società in cui si ha sempre maggior bisogno di esprimere qualcosa agli altri (facebook ne è l’esempio più palese), e la Street Art sembra proprio rappresentare quest’irrefrenabile necessità. Egli afferma che quello che conta è tanto il mezzo quanto il contenuto, l’idea e il felice connubio di questi elementi. La street o la public art sono linguaggi che esprimono un’energia che esce dai canoni, dagli stereotipi e rischia perché si tuffa nel terreno globale, raccogliendo consensi e critiche. De Luca, citando solo gli interventi più recenti, ha proiettato in vari punti di Roma l’immagine del pontefice con la veste bianca macchiata, e prima ancora ha fatto volare uno striscione pubblicitario con la scritta “Silvio c’hai rotto li gommoni” , trascinata da un piccolo aereo lungo la costa laziale, popolata dalle folle estive al mare.La performance, l’installazione urbana effimera che ricordano in senso generale le grammatiche della Public Art e della della Street Art sono infatti solo alcuni degli ingredienti di queste incursioni di De Luca che tendono ad illuminare pezzi di cronaca incisivi sulla realtà profonda del nostro essere società ma che rischiano di sciogliersi rapidamente nel racconto dell’informazione mainstream. L’installazione, al contrario, pur nella sua qualità di incursione veloce, rimette al centro del discorso il problema che sta sfuggendo all’attenzione pubblica, vuole ricreare un nuovo spazio pubblico stimolando una sensibilità condivisa intorno ad un problema comune. Una serie di operazioni, quindi, che spostano la natura del graffitismo dalla dimensione più “privata” e neotribale legata ad un territorio di appartenenza - la strada, il quartiere, il ghetto - ad un’altra dimensione che è insieme più “pubblica” e metaterritoriale perché vuole attivare una comunicazione d’impatto estetico, dislocata su più piattaforme espressive: il luogo fisico, i giornali, le reti che sono ulteriori “materiali” a disposizione per la costruzione concreta dell’artefatto dell’arte contemporanea. Infatti gli interventi di De Luca non appartengono allo sfogo individuale, originariamente clandestino del graffitismo ma alla chiara presa di posizione personale e/o di gruppo che richiama l’esigenza propria delle origini delle avanguardie moderne e cioè quella di essere “realisti” ovvero usare i “materiali” reali e virtuali della contemporaneità per produrre una nuova dimensione dell’essere società. Iginio De Luca è un artista, uno spirito libero che gioca con strumenti e/o linguaggi radicati da decenni in italia, inserendoli in un contesto insilito, con l’obbiettivo di stimolare il pensiero. De Luca è riuscito in imprese quasi cinematografiche: proiettare un gregge di pecore sulla facciata di Palazzo Chigi il 14 Dicembre 2010, giorno della tanto discussa fiducia al governo Berlusconi e, precedentemente, riprodurre la scritta “LAVAMI” sul luogo inaccessibile e inviolabile per antonomasia, la Cupola di San Pietro.Ha scelto la cupola, la star delle cupole – ci spiega De Luca – perché incarna in un colpo solo il massimo grado di metafore religiose, politiche ed artistiche. Ha scelto una parola, una sola parola, che in sintesi comunichi più cose contemporaneamente. Gli piaceva l’idea di partire da un luogo comune, una frase popolare come “lavami” ed atterrare su un contesto che è unico, anti-democratico e snob per eccellenza. L’accostamento di questi elementi genera poi le metafore del caso e le conseguenti letture. La “Lavami” è un graffito di luce dai caratteri simili a quelli disegnati con le dita sui vetri sporchi delle auto in sosta.Un intervento, questo di Iginio De Luca, che usa i codici della Street Art: la velocità, l’irruzione, la notte e li riconduce alle origini delle avanguardie storiche, performance e spirito del cabaret, ad esempio, mescolando, come accadeva in quelle origini soprattutto dada, sensibilità sociale e 17- Brand, 2011, video, sonoro, colore, 16:9, durata: 5’17’’ Brand è un video che documenta un’azione notturna svoltasi a Roma in via Condotti il 23 gennaio 2011. Utilizzando un videoproiettore e un furgone che lo trasportava, ho proiettato il marchio dell’Ente Comunale di Consumo sulle pareti laterali della via. Come uno scanner il fascio luminoso ha indistintamente marchiato, “sporcando”, ogni cosa che incontrava sul suo cammino, “sfondando” le vetrine che esponevano beni di “secondaria o superflua necessità” (e non di prima necessità come invece era per l’Ente Comunale di Consumo).Il logo dell’Ente, una volta presente sulle carte oleate ad incartare il burro, ora si plasma anche sui vestiti -un altro tipo di incartamento- azzerando le distanze sociali, temporali e spaziali, varcando la soglia dell’irraggiungibilità e dell’intoccabilità di un’élite sociale rappresentata dalle griffe dell’alta moda.L’audio del video è stato registrato alla garbatella, un quartiere popolare di Roma, in piazza Bartolomeo Romano e precisamente nel luogo dove, decenni fa, c’era una delle sedi dell’Ente.Il titolo Brand è ironico, in controtendenza, a ribaltare un concetto snob di uomo e di vita.

16.9.11

Eva Marisaldi

Nata a Bologna nel 1966. Vive e lavora a Bologna. La sua ricerca condotta sul filo di un sottile e disincantato gioco intellettuale che amplifica e mette a nudo l’ovvietà degli sfuggenti accadimenti del quotidiano, si focalizza su aspetti di una realtà nascosta che solo la riflessione artistica è in grado di analizzare. Il suo lavoro è ampiamente poliedrico nella scelta del linguaggio e dei media di volta in volta sperimentati: va dal disegno al video, dall’installazione oggettuale all’azione, dalla fotografia alla scultura. Gioca sempre però con un’immaterialità la cui funzione espressiva si caratterizza proprio per quel margine di ermetismo che poco o nulla concede all’evidenza della comunicazione. Le sue opere di conseguenza non producono un impatto immediato e violento, ma richiedono lunghe pause di riflessione, accompagnando lo spettatore in un universo poetico e rarefatto “al limite con il vuoto e il silenzio”. Tra gli artisti italiani della sua stessa generazione più apprezzati all’estero, diversi musei italiani e stranieri le hanno già dedicato una personale (ARC Musèe d’Arte Moderne de la Ville de Paris, 1993; FRAC Languedoc-Roussillon di Montpellier,1995; Kunsthaus di Essen, 1995; Galleria d'Arte Moderna, Bologna, 1999; Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, 2000; Gam, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, 2002; MAMCO di Ginevra, 2003), mentre numerose sono le importanti rassegne internazionali che l’hanno vista partecipe: la Biennale d’Arte di Venezia nel 1993 e nel 2001; Soggetto Soggetto, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli, 1994; L’hiver de l’amour, ARC Musèe d’Arte Moderne de la ville de Paris e PS1, New York, 1994; Manifesta, Witte de With, Rotterdam, 1996; Exnchanging interiors, Museum van Loon, Amsterdam, 1996; Fatto in Italia, Centre d’Art Contemporain, Ginevra e ICA Londra, 1997; The 504 show, Braunschweig Kunsthalle, Zentrum fur Kunst, Brauschweig, 1997; Che cosa sono le nuvole, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Guarene-Torino, 1997; Officina Italia, Galleria Comunale d'Arte Moderna, Bologna, 1997; La ville , le jardin, la memoire, Villa Medici, Roma, 1998; Biennale di Istanbul, 1999; Biennale di Alessandria D'Egitto, 1999; la Biennale di Lione, 2003 ; la Biennale di Gwangju, Sud Korea, 2004; L'immagine del vuoto, Museo cantonale d'Arte, Lugano, 2006; Italian mindscapes, Museum of Art, Tel Aviv, 2007.

15.9.11

Giacomo Verde

Giacomo Verde nasce in provincia di Napoli nel 1956. Diplomato all'Istituto d'Arte di Firenze attualmente abita a Lucca. Svolge attività teatrale e artistica dal 1973. Ha collaborato con diverse formazioni come attore, autore, musicista o regista. Si occupa di teatro e arti visive dagli anni 70. Dagli anni 80 realizza oper'azioni collegate all'utilizzo creativo di tecnologia "povera": videoarte, tecno-performances, spettacoli teatrali, installazioni, laboratori didattici. Nel '83 inizia a realizzare videotapes, prima in rapporto alla pratica teatrale poi come opere a se stanti, con particolare attenzione alle potenzialità espressive dei mezzi poveri per mostrare, nelle installazioni e a teatro, come la creatività non dipenda da un forte dispiegamento di mezzi. L’idea alla base della produzione di Verde è una visione orizzontale della società, senza gerarchie né modelli culturali ed estetici imposti dall’alto. Vince concorsi e fonda progetti importanti come il "tele-racconto" ,di cui è l'inventore, una performance teatrale che coniuga narrazione, micro-teatro e macro ripresa in diretta - tecnica utilizzata anche per video-fondali-live in concerti, recital di poesia e spettacoli teatrali. Dall '86, fino agli ultimi anni, realizza videoistallazioni partecipando a diversi festival ed esposizioni nazionali ed internazionali. Nell '89 vince il concorso per storyboard al pow di Narni con "stati d'animo" (dal trittico di Boccioni, realizzato poi in computer grafica). Nel '90 compie un viaggio di studio in Senegal (col Teatro delle Albe di Ravenna) e fonda il Progetto, appunto, di "Tele-Racconto" realizzando, fino ad oggi, sette diverse opere e laboratori didattici. Avvia così molte altre attività di video didattica per hobbysti e insegnanti, fino agli ultimi anni. Giacomo Verde rappresenta uno dei ponti ideali tra la prima stagione pionieristica di sperimentazione video e multimediale in italia e la fase di sperimentazione attuale. E' tra i primi italiani a realizzare opere di arte interattiva e net-art. Riflettere sperimentando ludicamente sulle mutazioni tecno-antropo-logiche in atto e creare connessioni tra i diversi generi artistici e' la sua costante. Pur avendo lavorato con i più disparati mezzi di espressione - teatro, video, computer, web - ciò che contraddistingue la sua produzione artistica è il costante e coerente uso politico e dal basso delle tecnologie eletroniche e digitali alla continua ricerca di "azioni oltre le rappresentazioni". All'interno della scena interattiva italiana, Verde è sicuramente una delle figure più sfaccettate per il numero di attività e di campi di interesse. L'interattività è il suo obbiettivo fondamentale, perseguito con tenacia e quasi con ostinazione, per lui essa deve restituire l'arte ai consumatori, in modo che non siano più spettatori ma diventino produttori. Verde riflette da tempo sulla possibilità di fondere l'esperienza estetica con la pratica comunicativa dell'arte,esplorando anche attraverso i diversi media e il web, nuovi modi di "fare mondo" e "creare comunità" con l'obiettivo di agitare le acque dell'arte con la forza dell'attivismo e di creare eventi e contesti sempre più "partecipati": dai laboratori per i bambini ai Giochi di autodifesa televisiva. La pratica del teatro sperimentale, il legame strettissimo con le tradizioni popolari (Verde è stato suonatore di zampogna e artista di strada) lo hanno condotto "naturalmente" verso l'utilizzo del video in scena. Una figura ricorrente in molte opere e performance di Giacomo Verde è la figura del Cerchio che è in relazione alla complessa simbologia del Mandala, immagine archetipica che in sanscrito significa “cerchio magico”, presente sia nella cultura orientale sia in quella occidentale come rappresentazione simbolica del cosmo, dei processi creativi e della crescita del sé. E’ di forma mandalica la videoscultura realizzata nel corso dell’ azione performativa "Rivel’Azione" ,ad esempio. Performance composta da un grande disco circolare di legno dipinto in cui sono incastonati quattro monitor pulsanti e nel cui centro è collocata la carcassa silente di un televisore fatto a pezzi durante la performance. Scopo dell’operazione è la realizzazione live di un grande “mandala meditativo occidentale” per riflettere sul rapporto tra scultura, pittura e televisione nell’era mediale; un’operazione dove, in maniera ironica e dissacrante, l’arte elettronica si fa veicolo di un incontro tra cultura orientale ed occidentale. L' attività artistica di Giacomo Verde, più che consistere nella produzione di oggetti da esporre in mostre e gallerie, si traduce in “oper’ azioni” che convocano lo spettatore in un cerchio relazionale dove è “vietato non partecipare”, e questo vale in particolar modo a partire dagli anni ‘90, quando Verde ha cominciato, tra i primi in Italia, ad occuparsi di arte interattiva: “qualsiasi opera interattiva si può comprendere e giudicare soltanto se la si “abita completamente”, se ci si sta dentro senza riserve, ovvero mettendo in gioco i propri desideri e le proprie aspettative in prima persona ... il vero soggetto è il comportamento dei fruitori" .
L’interesse per l’interattività rappresenta lo sbocco “naturale” di un percorso artistico che ha da sempre privilegiato modalità performative, a partire dalle prime esperienze formative degli anni ’70 come animatore teatrale, cantastorie e musicista, attività che attestano un legame forte con le tradizioni popolari e l’esigenza di lavorare a stretto contatto con il pubblico. Allo stesso modo, le sperimentazioni con le tecnologie elettroniche e digitali che sempre più, a partire dagli anni ‘80 caratterizzano il suo lavoro, sono strettamente intrecciate al bisogno di intervenire su quelle “zone calde” della comunicazione contemporanea rappresentate dai mezzi di comunicazione di massa, per proporne usi alternativi, al di fuori delle logiche di mercato. L’approccio alla tecnologia è “low tech” per consentirne un uso accessibile a tutti e smitizzarne le valenze feticistiche. Approccio che privilegia pratiche collaborative e connettive, in modo da mettere in relazione persone e competenze diverse, contaminando linguaggi e generi. Non si contano le collaborazioni di Giacomo Verde con musicisti, teatranti, artisti, poeti, filmaker indipendenti, studenti, insegnanti ed operatori didattici: “mi piace molto mettere in relazione diversi linguaggi, così si possono fare opere più complete e plurisignificanti. E mi piace molto lavorare in gruppo, affidare parte del lavoro ad altre persone”.
L’impegno in ambito sociale e politico è un altro aspetto fondamentale che contraddistingue l’estetica relazionale di Giacomo Verde e che si traduce in svariate pratiche di attivismo artistico - azioni di netstrike, di sostegno e partecipazione attiva a campagne di controinformazione e ad iniziative no-profit - in una costante ricerca di un punto di equilibrio, non sempre facile da attuare, tra “bellezza” e “giustizia”, di quel mix giusto fra atteggiamenti etici (morali e politici), aspirazioni e ispirazioni espressive, tenuta e innovazione linguistica.
Distante dagli aspetti più vistosi e spettacolari del sistema dell’arte contemporanea, l’operare artistico di Giacomo Verde attecchisce e prolifica in territori decentrati ma vitali, per dar voce a bisogni e ad immaginari che non trovano spazio nei media ufficiali. Molti dei suoi progetti si configurano come kit creativi dotati di “istruzioni per l’uso”, opere aperte, o meglio “open source”, il cui codice sorgente è a disposizione di tutti, per incentivare sia la creatività individuale che collettiva. Lo spettatore che Giacomo Verde intende convocare attraverso le sue opere è uno spettatore vigile, consapevole dello scarto tra realtà e rappresentazione, che non si lascia trasportare passivamente nel gioco illusionistico dell’arte. Mettere in scena il linguaggio oltre che i contenuti, mostrare i processi di trasfigurazione del reale che ogni atto rappresentativo comporta, sono strategie estetiche e cognitive, “strategie di smascheramento” e di rottura della cornice illusionistica costantemente adottate da Giacomo Verde, come nel Tele-Racconto, dispositivo ideato dall’artista negli anni ’90, in cui si intrecciano narrazione, micro-teatro e macro-ripresa in diretta, divenuto poi una sorta di prototipo per altre oper’azioni performative, quali la realizazione di video-fondali-live in concerti, recital di poesia e spettacoli. Infine una scanzonata ironia, un’attitudine ludica e liberatoria permeano con una “leggerezza pensosa”, la sua poliedrica attività; del resto comicità e ironia, nell’arco di tutto il novecento, si sono rivelate delle preziose compagne dei linguaggi artistici, costituendo delle modalità espressive privilegiate attraverso cui si è cercato di dominare, metabolizzare e mettere in forma temi cruciali e perturbanti della contemporaneità.

7.9.11

Rodney Werden


Videoartista nato a Toronto, Canada, nel 1946.
Informazioni inerenti alla sua crescita e all'istruzione ricevuta non sono pervenute.

Rodney Werden ha prodotto in totale 17 videocassette, la maggior parte tra il 1974 e il 1987.
I temi trattati da Rodney, sono principalmente legati al sesso, vissuto nelle sue forme più variegate e perverse, tuttavia il suo modus operandi, per quanto esplicito mette in risalto un desiderio d'introspezione che l'artista rivolge, oltre che al soggetto filmato, a se stesso, finendo per essere più volte fisicamente partecipe nei suoi stessi video, anche solo come voce. Le sue registrazioni tendono tutti alla messa a nudo dell'individuo, in tutti i sensi, o per essere più precisi, al denudare con flebile lentezza il soggetto per poter cogliere in tale atto, quante più sfaccettature inconsce vengano fuori, attraverso questa “interazione” diretta.

Non è un caso infatti, che molti dei suoi lavori, siano, tecnicamente, delle vere e proprie interviste di tipo documentaristico.
I suoi primi lavori erano strutturati come sessioni di posa prolungate, non eccessivamente dinamiche e votate all'ascolto.
Abbracciando temi quali sadomasochismo e feticismo sessuale, la sua ricerca, si estende al “ruolo” della società, e della sua artefatta moralità, rispetto al sesso; a quanti cambiamenti ed evoluzioni-ibridi questa ha partorito, deformando concetti e istinti naturali e confezionandoli in canonici standard. Se il valore civico-morale della società ha creato degli schemi, possiamo dire che l'occhio e l'obbiettivo di Rodney Werden, son volti verso ogni cosa provi ad evadere questi schemi e alle tracce che vi si lasci dietro nel tentativo.
Le sue produzioni quindi, oltre ad acquisire una duplice chiave di lettura, divengono sempre più esplicite e dirette, non si girano provini, non esistono prime, seconde o terze scene, tutto viene catturato secondo la natural cadenza del tempo, ma oltre questo evidente dettaglio strutturale, è possibile individuare nelle sue produzioni più mature, una critica allegorica alla condizione mentale indotta propria della prostituzione. Analisi celata in poche ma essenziali battute che rivelano l'incapacità di creare una sensazione, seppur sgradevole, l'incapacità di simulare e indurre un puro desiderio di rigetto e disgusto (verso la propria persona) al cliente pagante, che richiede tale trattamento, tale indotta e mal simulata manipolazione mentale a pagamento.
I suoi ultimi lavori, differiscono dai precedenti, essendo principalmente legati al mondo dell'economia di consumo, proponendo una critica scherzosa ed amaramente ironica al capitalismo.
Ad oggi sono unicamente note due esposizioni pubbliche dei suoi lavori.

Peter Whitehead


Regista Inglese nato a Liverpool l'8Gennaio 1937,

conosciuto per essere stato il regista di video promozionali come Interstellar Overdrive dei Pink Floyd e molti altri dei Rolling Stone. Peter Whitehead è stato oltre a regista anche scienziato, scrittore e fotografo. Studente d'arte che divide gli anni della facoltà con Syd Barret, ingaggiato poi per la Rai come cameramen a Londra, un esperienza fondamentale insieme alla scoperta dei maestri del tempo: Antonioni, Bergman, Godard. Tra i film proprosti in Italia c'è Wholly Communion.
Il lavoro di Whitehead compie una sintesi eccezionale, aperta ad ogni dimensione diversa del cinema d'avanguardia. Ha aperto una strada personale del cinema documentario offrendo al pubblico una visione singolare, un interpretazione unica con documentari, arte politica e il soprannaturale; questa retrospettiva dei suoi film pone il regista il prima linea per la sperimentazione cinematografica e può essere proclamato "genio del documento d'arte". L'unico tema vincolare di tutti i suoi film è l'idea della vita come una performance in corso, ovunque la sua macchina fotografica guardi le persone stanno mettendo su uno spettacolo, i cantanti in concerto, i poeti fanno le loro cose e gli intervistatoti con la loro serietà.
In una delle sue interviste il regista ha affermato che" lo scopo dei miei principali lavori è stato quello di trasferire nelle immagini la grande energia della musica" come emerge con impatto e potenza in Led Zeppeling degli anni '70. Ma i suoi inizi risalgono agli anni '60 quando riprese per primo Jam session e gli happening della "Swinging London" come cameramen per la Rai, di quel periodo è il filmato sui The Beach boys.
L'apoteosi arriva per lui con Lady Jane con le immagini ai ralenti Rolling Stone anticipando anche se con scarsi mezzi tecnici lo stesso effetto utilizzato poi sa Scorsese in Shine a Light.
La sua capacità è stata quella di intuire negli artisti quello che oggi si indica come "x factor" prima ancora che diventassero famosi, come successo per i Stones e per i Pink Floyd. Il suo talento emerge nei videoclip psichedeliaci di Jimi Hendirix grazie alle zoomate di esplosioni di luce rosso porpora che contrastano lo scuro dei capelli e della pelle del chitarrista. Peter Whitehead ha ricevuto l'Award Fellowship 2009.

6.9.11

Chiara Passa


Chiara Passa è una giovane artista italiana attiva nell'arte digitale dal 1997, ha eseguito gli studi artistici, frequentando il Liceo Artistico di Salerno, poi successivamente ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Napoli. Ha vissuto e lavorato a Lisbona e a Milano e al momento è stabile a Roma. In Italia è tra i pionieri nell'impiego del digitale come strumento di creazione artistica, Chiara progetta le sue opere adoperando più mezzi: l'animazione e la video installazione interattiva al confine tra reale e virtuale, utilizzando forme geometriche essenziali che sfociano in una visione dinamica e tridimensionale dello spazio. Un' idea di performance è alla base delle sue opere, dove il luogo è autonomo e si muove oltre la sua funzionalità, le installazioni coinvolgono in prima persona lo spettatore, spingendolo a confrontarsi con una nuova spazialità. Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti tra cui il "premio econtentward" per miglior contenuto in formato digitale.

2.9.11

Ivan Moudov

Ivan Moudov è uno dei più interessanti artisti bulgari della nuova generazione. Vive e lavora a Sofia, in Bulgaria, dove è nato nel 1975. Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte, si laurea nel 2002 all’Accademia Nazionale delle Arti di Sofia con un master in arte e pittura murale. Lavora prevalentemente utilizzando strumenti espressivi quali il video, la fotografia, l’installazione e la performance.
Ben presto il mondo che lo circonda diventa per Moudov base di riflessione e pratica artistica. Appartiene alla generazione di artisti che senza compromessi prendono posizione per lo sviluppo di un’arte a tendenza post-concettuale, infatti ogni lavoro creato dall’artista mostra oggetti o situazioni il cui valore simbolico o metaforico è accentuato al più ampio grado possibile. Il percorso creativo dell’artista bulgaro, tante volte è riconosciuto soprattutto per le sue azioni artistiche “illegali” che affrontano (spesso con una buona dose di humour ed ironia) questioni controverse relative a potere e controllo sociale, appropriazione ed autorità di un’opera d’arte.
Da citare sono una serie di performance intitolata “Traffic Control ”,(realizzate a Graz nel 2001 a Cetinje nel 2002 e a Salonicco nel 2003) dove l'artista vestito da poliziotto bulgaro regola il traffico investigando sulle reazioni dei guidatori. La documentazione comprende anche due video di sabotaggio civile in cui Moudov, utilizzando il sistema delle precedenze in una rotonda, crea situazioni a limite e analizza le differenti reazioni a seconda del contesto culturale. (One Hour Priority, Sofia 2000; 14:13 Minutes Priority, Wiemar 2005). Come Moudov afferma, le sue performance “sono un modo di intervenire nella legge e nei regolamenti senza infrangerli (…) è una questione di sottile differenza fra legalità e illegalità delle azioni”.
Inoltre due opere di Moudov ci fanno riflettere criticamente sull'istituzione museale. La prima è la “Fragments Box” dove nel corso di un anno e mezzo (dal 2002), l’artista ha collezionato e catalogato frammenti sottratti a diverse opere d’arte appartenenti a diverse istituzioni, Musei e Gallerie d’Europa. Ogni frammento raccolto è stato accuratamente depositato in una valigia che immediatamente evoca la celeberrima Boîte-en-valise di Marcel Duchamp o simile anche alle scatole di Robert Filliou. Questi pezzi nella valigia, diventano la collezione personale di viaggio dell’artista o personalissima “Arca di Noè”. Tolti dal luogo originario la loro forma/significato cambia. Moudov con questo progetto segue le investigazioni nella linea della “critica istituzionale”, la condizione museologica della rappresentazione, il senso del collezionare e i giochi simbolici del potere. Un secondo lavoro dell'artista che segue questa linea ed ha suscitato grande clamore è l'annuncio dell'apertura di un inesistente Museo d’Arte Contemporanea attraverso un’imponente campagna pubblicitaria, dove è riuscito a coinvolgere circa trecento persone per l’inaugurazione e a far pubblicare numerosi articoli sull’argomento, richiamando così l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che a tutt’oggi in Bulgaria non esiste un Museo destinato ad ospitare opere di artisti contemporanei.
Moudov nelle sue opere non solo propone un’alternativa alla libera circolazione dell’arte, che diventa così itinerante, ma muove fra le righe una critica pungente e poetica nei confronti di quelle istituzioni, e di quei collezionisti, che hanno dato vita a un sistema dell’arte chiuso -troppo, per le nuove generazioni- e volto a promuovere solo un certo tipo di arte. Quell’arte strettamente legata alle rigide leggi del mercato. Che costa e fa parlare, certo; ma che resta sostanzialmente chiusa alla molteplicità dei fruitori. Facendosi beffa di questo concetto, esegue una performance dal titolo vagamente ironico: “Romanian Trick”. Separa la parte esterna di una moneta da un euro da quella interna gettandola moltissime volte per terra. Qui l'acume artistico è alla portata di tutti e quindi niente di nuovo. Ma c'è un sottile riferimento fra il ripetersi monotono dei gesti sincopati dell’artista e le già viste azioni di carattere post-concettuale dell’ultimo decennio. Inoltre nell’intervento di Moudov viene a manifestarsi la volontà di prescindere dal solito tran-tran che regola i contratti fra autori, gallerie e musei a favore del più rassicurante (visto il periodo di crisi) baratto.

5.7.11

Doris Totten Chase


Chase è nata il 23 Aprile 1923 a Doris Mae Totten, l'unica figlia di un avvocato di Seattlle. Si è diplomata alla High Roosevelt School nel 1941. Ha studiato architettura presso l' Università di Washington.

Il suo lavoro ha un posto permanente negli archivi del New York Museum of Modern Art. Lavorare con la luce come il suo mezzo, con danzatori trasformati in forme colorate che scorrevano, Chase ha portato sensibilità al video. Il suo preferito particolareb della luce era di un azzurro pallido, simile al colore del cielo in un tramonto estivo. Altamente sensuale, il suo lavoro è fluido e stabile.
Chase ha avuto una carriera importante come pittottrice e scultrice prima di partire per New York, dove ha fatto dei video innovativi. Non ha avuto vita facile perchè di sesso femminile.
La sua arte successive, che spesso ha sostenuto la causa delle donne, è qualche indicazione del pregiudizio tale dolore causato dal concetto della donna casalinga, che non potesse fare altro.
Si ammalò gravemente dopo la nascita del figlio Gary avendo un "esaurimento nervoso". La causa del crollo emotivo è stato chiaro a lei: "stavo facendo tutto tranne quello che volevo fare, che era dipingere." Incoraggiato da un consigliere, ha cominciato a prendere tempo per dipingere. Ha studiato pittura brevemente l'olio con l'artista russo Jacob Elshin , e con l'artista greco Nickolas Damasco. Prese molto coraggio quando, nel 1948, uno dei suoi dipinti fu accettato alla Fiera annuale del Nord-Ovest.
Quando il figlio di Gary aveva 3 anni, e Doris era di nuovo incinta, Elmo contratto la poliomielite e divenne quasi totalmente paralizzato. Allo stesso tempo, che stavano costruendo una casa (della quale Doris Chase è stato l'architetto), per sostenere la famiglia, Chase ha insegnato pittura e disegno presso la Scuola Tecnica di Edison. Chase è stata accettata in Pittori Donne di Washington nel 1951. Chase rimase membro fino alla metà del 1960.
I primi dipinti sono paesaggi del nord-ovest e le figure, spesso i musicisti, in blocchi di colore. Lei spiega che l'ispirazione per il suo stile ai disegni strutturato di vimini prende spunto dall'arte della costa nord-occidentale dei nativi americani e carving.
Nel 1961, Chase viene invitato ad esporre presso la Galleria Numero a Firenze , Italia . Spettacoli successivi sono stati a New York e in Giappone.
Chase sperimentato la pittura su tele sagomate, quando uno dei suoi studenti ha dato alcuni pezzi di rovere lamellare. La sua prima mostra personale a New York, nel 1965, alla Galleria Smolin , conteneva dipinti su legno. Ha esposto una serie di piccole sculture dipinte all'interno con sezioni incernierate che si aprivano per rivelare ulteriori sezione di dipinti.
Presto i pezzi verniciati e le forme in legno lamellare divennero di grande importanza.
Inizio a lavorare con dei cerchi e ben presto riuscì a fare di essi un fonte di contatto con il pubblico, cioè l'osservatore poteva finalmente interagire con l'opera. Chase ha mostrato che le donne potevano creare anche loro sculture, pratica fino a quel momento attribuita solo agli uomini.
Nel 1968, ballerina Maria Staton utilizzato un set di cerchi in legno giganti creati da Chase per la sua coreografia. In collaborazione con Boeing , Chase produsse Circles , un film basato sul computer di cerchi filatura.
Regina dello schermo in un film della danza e della collaborazione scultura. Dal successo della prima collaborazione ve ne fu una altra chiamata Circle II. Utilizzando le separazioni dei colori che mostravano i ballerini e la scultura come forme di colore, Chase usò un lasso di tempo in cui le scie di luce seguivano la scia delle gambve delle ballerine. Il film è stato acclamato del 1973 alFestival del Cinema Americano di New York con il critico Roger Greenspun confrontandola a Matisse Dance 's pittura. Mentre il film Circle II era in produzione, Chase ha creato prototipi di sculture cinetiche per bambini, realizzati in schiuma di uretano a forma di cerchi racchiusi in un tessuto duro in fibra di vetro, dai colori brillanti. Le forme sono state progettate per i bambini per aiutarli con equilibrio e consapevolezza del corpo.
Dopo 28 anni di matrimonio, Chase ha chiesto il divorzio, pronto a vivere da solo e dedicarsi all'arte.
Colpiti da Circles II , i dirigenti scolastici presso la Columbia University invitarono Chase ad insegnare ad un corso di laurea nel reparto di film e video. Chase rifiutò, non volendo essere legata a qualcosa di diverso dal lavoro creativo.
Chase ha iniziato a lavorare in video nei primi anni 1970, utilizzando l'imaging del computer. Ha iniziato integrando le sue sculture con ballerini interattiva, usando effetti speciali. Victor Anconaha detto guardando il video di Chase sulla danza: "Guardare le cassette mi ha dato la sensazione di essere trasportati in un incantato, un viaggio che ricorderà a lungo ". L '"ambiente fosforescenti" da cui fu talmente impressionato Ancona non è altro che la luce iridescente mostrata per la prima volta come arte girato il video.
In cortina di vetro (1983), attriceJennie Ventriss angosciati per il deterioramento mentale e fisico della madre dal morbo di Alzheimer.
Lavoro più ampiamente dimostrato di Chase è una serie di 30 minuti drammi video riguardante l'autonomia delle donne più anziane, intitolato da sola . Nel 1993, Chase ha prodotto un documentario video sulla sua casa, il Chelsea Hotel . L'Hotel Chelsea è stato originariamente concepito come New York, prima casa grande appartamento cooperativa, di proprietà di un consorzio di famiglie ricche nel 1883, diventando un hotel nel 1905. Video di Chase ha reso omaggio al 110 ° anniversario della costruzione, e quelli che lo hanno chiamato a casa.
Nel 1989, Chase tornò a Seattle, dividendo il suo tempo tra le coste est e ovest, lavorando in video a New York e alla scultura a Seattle. Nel 1999, i suoi quattro pezzi in bronzo scultura Luna Gates , 17 metri di altezza, è stato installato a Seattle Center. MoMA di New York ha acquisito il video completo e opere cinematografiche. Il Seattle Art Museum ha un solo lavoro Chase nella sua collezione: un dipinto ad olio 1950. Muore all'età di 85 anni il 13 Dicembre del 2008.

4.7.11

Martha Rolser


E' una della più importanti figure nella scena artistica dagli anni ’60 ad oggi, nel suo lavoro pionieristico e sperimentale ha utilizzato diversi media: dal video alla fotografia, dall’installazione alla performance, al testo-fotografico fino a scritti critici. Il suo lavoro si è spesso interessato alla vita sociale e alla sfera pubblica manifestando spesso precise posizioni rispetto a temi quali il femminismo e la guerra. Nella sua opera Semiotics of the Kitchen (1975), quel luogo ordinario di lavoro "femminile" che è la cucina si trasforma in ribalta dalle fattezze teatrali, con il corpo della stessa Rosler ornato di grembiule (c'è sempre una divisa e un ruolo da esibire, confutare e infine rigettare) e posto in meccanica azione davanti ad una camera fissa. Servendosi di una mimica e di una gestualità sull'orlo della decontestualizzazione, e praticando così un detourment che cambia la luce sotto la quale osservare un coltello o una forchetta che pugnalano con ferocia l'aria, o il fragoroso scontrarsi di piatti e pentole sulla tavola, la Rosler compone in pochi minuti un esaustivo e e dettagliato catalogo per ri-orientarsi tra oggetti e strumenti che per una volta perdono il loro valore d'uso (davanti la mdp non sono altro che congegni che vanno a vuoto) e si trasformano in armi in mano al pacato virtuosismo di una finta casalinga.Tra i suoi lavori si riconoscono i fotocollage della serie Bringing the War Home(1967-72), che uniscono immagini di guerra a interni domestici confortevoli ed eleganti. All’inizio dell’invasione dell’Iraq da parte degli USA, Rosler ritorna sulla serie degli anni ‘ 70, attualizzando i foto collage con nuovi spazi, tecnologie e la rappresentazione stessa della guerra, come è facile intuire in Prospect for Today, Point and shoot o Invasion (2008).

Retrospettive di Martha Rosler sono state realizzate in Europa e a New Yok, tra 1998 and 2000, al New Museum e allI’International Center of Photography. Nel 2007 Il Worcester Art Museum, Massachusetts ha dedicato una mostra solo ai suoi fotocollage.
I suoi lavori sono stati esposti recentemente alla Biennale di Singapore, WACK! Art and the Feminist Revolution al The Museum of Contemporary Art, Los Angeles, PS1 in Queens, UnMonumental al The New Museum, New York, Documenta 12 e Skulptur Projekte Münster, nel 2007; e Ambitions d’Art at Institut d’Art Contemporain a Villeurbanne, Francia, nel 2008.
I suoi scritti sono stati pubblicati sia in cataloghi che su riviste e 14 sono i suoi libri distribuiti in diverse lingue sulla sua produzione fotografica, di saggi e di testi. Decoys and Disruptions: Selected Writings, 1975-2001, un libro di saggi scritti da Martha Rosler è stato pubblicato dalla MIT Press nel 2004 (ristampato, 2008). Altri progetti includono la Biblioteca di Martha Rosler -Martha Rosler Library- , una mostra itinerante di 8.000 volumi provenienti dalla collezione di Martha Rosler e il progetto If you lived here still in collaborazione con e-flux.
Una donna di carattere. Una di quelle che alle persone che esclamano di fronte a un quadro “questo potrei farlo pure io”, risponde: "Please, do it!", Fallo! Perché al pubblico spetta la responsabilità di interpretare il lavoro di un artista. O almeno quello di Martha Rosler. Ironica e provocatoria, femminista senza strafare, questa donna-icona dell’arte internazionale è da sempre impegnata a “demolire” le ipocrisie del quotidiano e i luoghi comuni della società e dell’informazione. La sua arte non è una rappresentazione fantastica sospesa sulle nostre teste. La sua arte è la realtà che ci circonda, con le sue metropolitane, le strade solitarie, gli aeroporti, la pubblicità, il potere, il cibo, il consumismo compulsivo, il sesso, le guerre, l’emarginazione, l’integrazione, le vetrine e le donne.

Domingo Sarrey


Domingo Sarrey è considerato il pioniere della video creazione in Europa. Il suo primo lavoro di videoarte è prodotto nel Centro di Calcolo dell'Università Complutense nel 1968, sebbene fosse ancora studente di Scienze Fisiche, realizzando lavori di creazione nel cinema 8 m/m. già dal 1960.

Collabora con importanti artisti internazionali in video ed installazioni, come Marcel Odembach, Peter Newman, Laurie Anderson, Wolf Vostell, Nan June Paik, etc. ed in Spagna con Angelo Orcajo, Salvatore Victoria, Eva Lootz, Pedro Gahrel, Conchiglia Sherry, J.A. Lleó J.R. dà Croce, etc. Fu il primo artista a realizzare e proiettare una multivisión con 6 proiettori, Panorama 78, MEAC (Museo Español de Arte Contemporáneo)1978.

Alcuni lavori, come Villa María, La Fábrica, Palabras, Radio Broadcast, Lectura ed altri, realizzati tra 1972 e 1982, sono stati esposti nelle prime manifestazioni video, come supporto artistico delle più importanti gallerie, centri di arte ed istituzioni: (Museo de Bellas Artes de Santander, 1978, Galería Juana Mordó, 1979, Rompeolas, 1982, Espacio P (de Pedro Gardel) 1982, Casa de Velázquez,1982, Instituto Alemán, 1983, Liceo Francés, 1983, Fundación Juan March, 1984, Alphaville "Circuitos de Video", 1984, Centro Nicolás Salmerón, 1986, Centro de Arte Reina Sofía etc. etc.).
Nel 1983 realizza i primi video in tempo reale programmati integramente con computer domestici, RND-Draw, Interactivity, etc. Furono inaugurati nel concerto visual della Fundación Juan March, (Ciclo "Música y Nuevas tecnologías") , essendo la prima esperienza di questo tipo in Europa.
Nel 1984 Battiti Urbani (“Latidos Urbanos”), il video più premiato del momento, che inaugura anche altri lavori di "Labirinti Urbani"("Laberintos Urbanos"), la prima esposizione di un video artista con video e fotografie realizzati in un museo spagnolo, (Museo Español de Arte Contemporáneo 1985). Questa esposizione fu portata negli Stati Uniti e presentata in varie università come la Columbia, N.Y., Washington, Virginia, etc., ed in vari centri culturali della Spagna e Stati Uniti.
È il primo video artista che inaugura un video nel Museo del Prado, ("Carlos III y la Ilustración", 1988), sotto l'incarico del Ministerio de Cultura ed il Centro de Arte Reina Sofía, davanti alla Regina di Spagna.
Attualmente lavora con processi digitali e tecniche di videoarte uniti al computer.

Lorenzo Scotto di Luzio


Lorenzo Scotto di Luzio è un artista napoletano (Pozzuoli, 1972). Frequenta lo studio napoletano di Giuseppe Desiato (Napoli, 1935), esponente della Body Art, subito dopo gli studi all’Istituto d’arte. Qui apprende l’uso di media diversi e l’attenzione a elementi propri dell'universo popolare, iniziando a realizzare i primi video, che nascono per l’appunto da quel linguaggio incentrato sul corpo. L'artista, che vive ora tra Napoli e Berlino, presenta una serie di lavori, sculture cinetiche simili a "macchine celibi", fotografie, disegni eseguiti con capelli, cortometraggi, confermando la poliedricità degli interessi della sua ricerca verso tutti i livelli di sperimentazione del linguaggio artistico. L'artista spesso protagonista delle sue opere, sfrutta ed esalta atmosfere che sembrano divertenti, ma che in sostanza sono dense di malinconica poesia, riflette sui grandi temi della condizione umana e sulla loro trasposizione nell'ambito artistico. Quest'ultimo è analizzato in tutti i suoi aspetti, dall'appartenenza ad un contesto storico ed antropologico sino al cosiddetto sistema dell'arte contemporanea con i suoi metodi di presentazione e circolarità delle opere.

Shahram Entekhabi

Shahram Entekhabi, nasce nel 1963 a Beroujerd, Iran.
Artista di origine iraniana, oggi, protagonista d'eccellenza internazionale. Fra Londra, Berlino, Tehran, Parigi, l'artista Shahram Entekhabi vive e presenta delicate performance inerenti il concetto di spazio urbano, tali da risvegliare la sensibilità assopita dell'Occidente.
L'ispirazione dei suoi lavori, va indagato negli scritti del XIX ° secolo di Charles Baudelaire, giungendo all'interpretazione dell'urbanità e del suo spazio come una riserva esclusiva per le abitudini della classe media, degli eterosessuali uomini, dei bianchi, della modernità tecnologicamente avanzata, cui preferisce piuttosto indagare il fenomeno della ghettizzazione dell"Altro" del "Diverso" e dell' "Estraneo", conseguenza della guerra fredda, scegliendo di mettere in rilievo gli individui invisibili o come spesso accade, spinti ad una auto-ghettizzazione forzata, come nel caso delle comunità di emigrati con le loro culture, tradizioni, ideologie, isolate dal sistema socio - culturale dominante. L'esempio lampante è la frequenza del fenomeno ghettizzante nelle culture medio-orientali.
Per questa ragione, la questione della "visibilità/invisibilità" è frequente nelle sue pratiche artistiche.
Attivo nel campo della "video- arte", fotografia, pittura, design, installazioni, performance art e community art, il percorso educativo-formativo raggiunge l'apice grazie allo studio dell'architettura presso l'Università di Teheran, Iraq, in Graphic Design accompagnato dallo studio accurato di architettura urbanistica, e ulteriore conoscenza della lingua italiana nelle città di Perugia e Reggio Calabria, Italia, favorendo esperienza e ampliamento degli orizzonti culturali personali.
L'attività di Shahram Entekhabi comincia con l'analisi attenta di una grande serie di "figure emigranti" - "migrant figure" che incarnano i clichè ed i comportamenti di diversi status emigranti, come di diversi periodi storici, dalla donna oppressa nella sua libertà dal marito fondamentalista o potenziale tale, alla grande emigrazione europea rivisitata nelle "guest worker", abiti economici, scarpe di vecchie tendenze, una valigia di cartone. Tuttavia, il grande "primo amore" di Entekhabi resta la natura concettuale di FILM, VIDEO più di qualsiasi altra caratteristica moderna. Concetto questo che attrae le Star di Hollywood, permettendo la fatidica abolizione del confine fra cultura popolare e cultura di lusso, trasformando Shahram Entekhabi figura di rilievo nell'ambito dell'arte-video e promotore della "Parasite Architecture" - "Architettura Parassita".
L'architettura Parassita mette in discussione gli aspetti della comunicazione sociale, e decostruisce la nozione di spazio pubblico e sua proprietà, sottolinea l'idea fondamentale dell'"informale" nell'arte di Entekhabi (n.b l'Informale si pone in forte polemica con tutto ciò possa essere riconducibile ad una forma, sia essa figurativa o anche puramente astratta. L'Informale, nega in modo esplicito ogni forma e con essa la conoscenza razionale che ne deriva.) ed affonda nel pieno della denuncia artistica dell'artista.
La Parasite Architecture si concentra sui temi della migrazione, e della diversità culturale, motivo guida dell'artista, il quale creerà estensioni informali ad architetture già esistenti, (ad esempio musei, luoghi di culto, etc,) proponendo in contemporanea la risposta artistica di cui l'Europa necessita dopo la profonda crisi morale, politica e ideologica conseguente agli orrori messi in luce dalla seconda guerra mondiale.
Le costruzioni informali in questione venivano evidenziate con nastri riportanti la scritta "caution" traducibile con "attenzione", al fine di suggerire un'idea lampo sulla sicurezza di alcune aree, un esempio esplicito è nelle "no-go Areas -ovvero Zone Vietate" in cui si palesa il concetto di esclusività e inclusività degli spazi pubblici per un motivo o un altro. Shahram Entekhabi, artista iraniano, risveglia la sensibilità occidentale, assopita dalle paure ed i timori creati dalla guerra fredda, tramite la più innocente delle armi, l'arte.

Gu Dexin


Gu Dexin è un artista la cui fantasia è alimentata da un forte amore per i giochi. Le sue opere navigano nel mare delle creature immaginarie da lui stesso create. I suoi recenti lavori si basano sulla tecnica di animazione, i suoi personaggi sono tutti stilizzati, si riducono a poche linee. Mette in scena un immaginario complesso e sarcastico. Gu Dexin viene spesso ricordato per la scelta dei materiali usati per le sue produzioni, molto spesso deperibili (frutta, carne, interiore di animali), che lascia deperire nello spazio in cui espone.

Chantal Akerman


Chantal Akerman è nata il 6 giugno 1950, a Bruxelles attualmente vive a Parigi. Regista, scrittrice, attrice, produttrice e compositrice, è una dei registi europei più importanti della sua generazione. Da adolescente, dopo la visione di Godard Pierot le fou si accorse che il cinema poteva essere personale e sperimentale. Akerman ha iniziato a fare i suoi film proprio nella fine degli anni '60 e ha dato un nuovo significato al termine "cinema indipendente", come l'incarnazione della pura indipendenza e creatività.

Akerman ha prodotto più di 40 opere - dalle caratteristiche 35mm ai saggi video documentari sperimentali, tra cui Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles; Saute mia ville (Blow up la mia città), Notizie da casa; Les Rendez-vous d 'Anna ; Je, tu, il, elle, vetrine'; Toute une nuit (Per tutta la notte); Les Années 80 (gli anni Ottanta); Nuit et jour (giorno e notte); D'Est (da est), Ritratto d' une jeune fille de la fin des années 60 à Bruxelles (Ritratto di una giovane ragazza alla Fine del the1960s a Bruxelles); Un Divan à New York (Un divano a New York), e più di recente, Sud e La Captive. Nel 1995 Akerman ha iniziato a sperimentare con installazioni video e ad esporre il suo lavoro in musei e gallerie prestigiosi.
Ogni film di Akerman è un mondo a sé, sono spesso girati in tempo reale in uno spazio che fa parte dell'identità del personaggio. Lei dipinge spesso le donne al lavoro e a casa, i rapporti delle donne con uomini, donne, bambini, cibo, amore, sesso, arte.
I genitori dell'Akerman sono sopravvissuti all'Olocausto dalla Polonia, ed hanno rifiutato di parlare, questo divenne il nucleo della sua ispirazione. Il peso della storia è evidente in ogni momento del suo lavoro, anche se lei è interessata alla storia con la piccola 's'. I protagonisti dei suoi film a volte ci ricordano la celebre flâneurs che trovano le meraviglie nascoste negli angoli, e talvolta assomigliano ad automi che emergono nei compiti della vita quotidiana. Akerman tira fuori i difetti imprevisti della routine e la dissimmetria nei modelli di vita quotidiani. Tuttavia, oltre a mostrare la complessa problematica dell'esistenza umana, Akerman è anche romantica, i suoi film sono pieni di musica, magia d'azzardo, nostalgia e speranza.
Il complotto nei film di Akerman è minimo o inesistente, la sua è una immersione nell'ellissi del cinema narrativo tradizionale. In questo modo, evita con coraggio luoghi comuni, e lo spettatore si aspetta di affrontare i suoi film con gli occhi e la mente aperti. L'emozione è dentro i personaggi, provenienti dall' impossibilità di situarsi comodamente in tutto il mondo. Lei usa spesso la tecnica del collage per inserire i molti passaggi autobiografici. Tuttavia, Akerman indaga anche su scottanti tematiche: il razzismo nel Sud America, l'immigrazione clandestina e il terrorismo in Medio Oriente.
Lungometraggio celebre dell'Akerman, Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975), è stato elogiato dal New York Times come "il primo capolavoro del femminile nella storia del cinema." Visto da molti come un film sperimentale per la sua epoca, ed è anche un punto di riferimento femminista ed una meditazione, sul trascorrere del tempo. Il film mostra tre giorni nella vita di Jeanne Dielman, una super-efficiente casalinga che guadagna come prostituta per mantenere se stessa e suo figlio.
Un recente film dell'Akerman, Down There (2006) è girato quasi interamente all'interno di un appartamento a Tel Aviv durante il suo soggiorno nella città. Il film è girato per mezzo di una telecamera fissa, che attraverso le tapparelle, riprende con particolare attenzione edifici vicini i cui residenti mangiano, bevono e fumano dai balconi.

Masao Adachi


Masao Adachi fin da giovane si fa notare per il suo carattere sperimentale insito nel suo cinema, nel 1966 l'amicizia con Kojiwakamatsu lo porta a collaborare con lui per circa 10 anni, dove nascono film come L'estasi degli angeli, (ove compare come attore) Le vergini di bianco stuprate e L'embrione caccia in segreto. Il successo di Adachi è destinato ad andare avanti, si inserisce nella compagnia di Nagisa Oshima per almeno 3 anni (il diario del ladro di shijuku), fino ad arrivare nell'essere stato invitato alla "Settimana dei registi al Festival di Cannes", colto da inspirazione nella strada per il ritorno Masao produce un film documentario intitolato Armata rossa (una critica implicita alla politica, indotta a voler formare eserciti dove la lotta armata è separata da ciò che riguarda la vita quotidiana, formando elite della pistola, senza pensare che il popolo che combatte ha già di per se il potere decisionale), e Dichiarazione di guerra mondiale (1971). In seguito svilipperà Truppe di proiezione dell'autobus rosso ambientato in luoghi comuni (piazze palestre ecc). Masao Adachi attivista e praticante di varie teorie riguardanti sia l'espressione che la proiezione cinematografica stessa. Nel 1974 lascia il Giappone dedicandoci alla rivoluzione palestinese facendo perdere le sue traccie fino al 1997, subito arrestato. Nel 2001 gli viene concessa l'estradizione e dopo altri 2 anni di carcere pubblica Cinema/rivoluzione, autobiografia della sua vita. L'ispirazione per i suoi film gli arriva leggendo. Ad un'intervista afferma che dopo aver letto sul socialista anarchico l'affermazione che la storia è una copia, una ripetizione, dove l'eternità è: tutto si dissolve, tutto comincia uguale, gli viene spontaneo domandarsi come reagire, cosa fare, e sopratutto come liberarsi? Partendo dal presupposto che io veda la figura del rivoluzionario continuamente disillusa, sconfitta ma nonostante tutto mai doma, in questo ripetersi di cose, cogliere quelle parti di noi, anche se piccole, eccedono perchè solo la libertà comincia come vita umana, e l'espressione diventa possibile. Masao Adachi al momento sta lavorando al suo nuovo film intitolato Il tredicesimo mese dell'anno.

Richard Serra


Richard Serra è nato nel 1939 a San Francisco. Mentre lavora nelle acciaierie per sostenersi, Serra frequenta l'Università della California a Berkeley e Santa Barbara (1957-1961), ricevendo una laurea in letteratura inglese. Successivamente studia come pittore all'Università di Yale, New Haven, dal 1961 al 1964, (completando il suo BFA e MFA lì.) Mentre a Yale, Serra lavora con Josef Albers sul suo libro "The Interaction of Color "(1963). Durante i primi anni del1960, entra in contatto con Philip Guston, Robert Rauschenberg, Ad Reinhardt e Frank Stella. Nel 1964 e 1965 Serra riceve una borsa di studio da Yale, e parte per Parigi, dove partecipa alla ricostruzione dello studio di Constantin Brancusi presso il Musée National d'Art Moderne. Trascorre gran parte dell'anno successivo a Firenze con una borsa di studio, e viaggia in tutto il sud Europa e in Africa settentrionale. Il giovane artista lavora alla sua prima mostra personale alla Galleria La Salita, a Roma, nel 1966. Nello stesso anno, si trasferisce a New York dove la sua cerchia di amici incluso Carl Andre, Walter De Maria, Eva Hesse, Sol LeWitt e Robert Smithson.
Nel 1966 Serra produce le sue prime sculture con materiali non tradizionali, come fibra di vetro e gomma. Dal 1968 al 1970 esegue una serie di "Splashpieces", in cui viene spruzzato piombo fuso e gettato nelle giunture tra pavimento e parete. Serra propone la sua sua prima mostra personale negli Stati Uniti alla Leo Castelli Warehouse, di New York. Nel 1969 installa i pezzi "Prop", le cui parti non sono saldate tra loro o comunque collegate, ma sono bilanciate esclusivamente dalle forze di peso e di gravità.Quell'anno, Serra viene incluso nella "Nove giovani artisti". I premi furono: Theodoron al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Produce il primo dei suoi numerosi film brevi nel 1968 e nei primi anni del 1970 sperimenta con il video. Il Pasadena Art Museum organizza una mostra personale del lavoro di Serra, nel 1970, e nello stesso riceve un John Simon Guggenheim Memorial Foundation. Nello stesso anno, esegue Spiral Jetty al Great Salt Lake nello Utah; Serra, tuttavia, viene colpito poco dal vasto paesaggio americano sembra più interessato ai siti urbani, e nel 1970 installa un pezzo in un vicolo cieco nel Bronx . Riceve la Medaglia Skowhegan per la scultura nel 1975 e si reca in Spagna per studiare architettura mozarabica nel 1982.
Serra viene onorato con mostre personali alla Kunsthalle di Tübingen, in Germania, nel 1978, il Musée National d'Art Moderne, Parigi, nel 1984, il Museo Haus Lange di Krefeld, in Germania, nel 1985, e il Museum of Modern Art, New York , nel 1986. Il 1990 ha visto un'ulteriore lode per il lavoro di Serra: una retrospettiva dei suoi disegni al Bonnefantenmuseum di Maastricht; il premio Wilhelm Lehmbruck per la scultura a Duisburg nel 1991, e l'anno successivo, una retrospettiva al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía,a Madrid. Nel 1993 Serra viene eletto membro dell'Accademia Americana delle Arti e delle Scienze. Nel 1994 gli viene conferito il Praemium Imperiale dalla Japan Art Association e un "Honorary Doctor of Fine Arts" presso il California College of the Arts, Oakland. Serra ha continuato ad esporre sia in mostre collettive che personali in luoghi come la Galleria Leo Castelli e la Gagosian Gallery, New York. Continua a produrre su larga scala strutture in acciaio per i siti di tutto il mondo, ed è diventato particolarmente famoso per i sui archi monumentali, spirali ed ellissi, che impegnano lo spettatore in un'esperienza alterata dello spazio. Dal 1997 al 1998 il suo Ellissi Torqued (1997) è stato esposto dal Centro Dia for the Arts, di New York. Nel 2005 otto opere più importanti di Serra sono state installate in modo permanente al Museo Guggenheim di Bilbao, e nel 2007 il Museo d'Arte Moderna di New York ha montato una grande retrospettiva del suo lavoro.