28.6.11

Alejandro Vidal


Un esponente dell'ultima generazione artistica spagnola, Alejandro Vidal (Palma de Mallorca, 1972) alla sua prima personale italiana.

Attento indagatore dello 'stato di sicurezza' attuale e dei codici del terrore in un ordine sociale come quello globale, Alejandro Vidal mette in scena forme ordinarie di odio e violenza della tribù urbana, richiamandosi ai precedenti modi della controcultura e alle memorie delle band elettro-punk di fine anni Settanta.
'L'estetica che precede la violenza' - sono parole di Vidal - è l'oggetto dei suoi video, delle foto, dei disegni e dei set installativi temporanei che gli consentono di spostare i margini di alcuni grandi temi, come quello del terrore, oltre i discorsi della morale entro cui normalmente è imprigionato.
La lotta di tre giovani accanto ad una scala mobile in un parco urbano, le cicatrici riportate sul torso nudo di un altro giovane con il volto coperto da balaclava, felpe, t-shirts e le immancabili sneakers. O ancora un uomo anziano che pratica il pugilato come allenamento quotidiano, sputafuoco messicani, musica trash metal, elettro punk dei Pinochet Boys, emissioni radio su scontri per droga, le ferite degli attivisti no global, sono alcuni esempi del campionario Vidal.
Ma non si tratta di mettere in atto alcuna presa diretta sul reale, piuttosto l'attitudine di Vidal fa ricorso alla staged-photography, crea una distanza critica ed estraniante, mette in scena una sorta di congelato teatro brechtiano, in cui ogni dettaglio è stato attentamente calcolato. Si tratta di set ambigui come quelli dei video 'The nature of the threat o 'Un tiro a todos los diablos', in cui la violenza è colta allo stato latente e più forte è la condizione del sospetto o della minaccia. In 'Exercises in self protection' (2003) ad esempio, tre uomini che sono colti da un obiettivo fotografico durante uno scontro, simulano invece delle pose basate su manuali di autodifesa di arti marziali.
La critica della rappresentazione di Alejandro Vidal non è quella rivolta alla mercificazione dell’informazione, semplicemente. Il fatto nuovo è che negli ultimi anni il terrore è diventato una merce semiotica. La quantità di immagini del terrore e della paura da cui siamo investiti, così come la definizione di una nuova estetica della violenza, a partire dal 9/11, mettono in scena ripetutamente un discorso dominante che è funzionale all’apparato militare-visuale, allo sviluppo cioè di un capitalismo della società della sicurezza – come quello attuale - fondato sull’economia dell’informazione. Lontano da un discorso sulla innocenza o colpevolezza iconografica, il “teatro” di Vidal persegue una progressiva squalificazione dell’immagine come tale.

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