30.6.11

Stefanos Tsivopoulos


Stefanos Tsivopoulos è nato a Praga nel 1973, vive e lavora ad Amsterdam e ad Atene.

Attivo dal 2005 partecipa a mostre in tutto il mondo, ma soprattutto in Grecia, Paesi Bassi, Italia e Turchia con esibizioni come "Amnesiland" e "Lost monument", collaborando anche con molte realtà artistiche come il Platform Garanti ad Istanbul, IASPIS a Stoccolma e il Rijksakademie van beeldende kunsten ad Amsterdam.
Filo conduttore della sua ricerca espressiva è interrogarsi su come la memoria collettiva prenda forma attraverso le immagini prodotte, e come l’immaginario contemporaneo stia codificando la storia attuale. Autore sopratutto di video, Tsivopoulos indaga la doppia valenza dell’immagine, sia documentaria che artistica. Partendo dall’esplorazione di archivi storici e servendosi del linguaggio cinematografico per scoprire quali sono le immagini depositate nella memoria collettiva, l’artista le estrapola dal loro contesto per indagare il valore assoluto del documento per la società. Nascono così nuove storie che inevitabilmente mettono in discussione la validità dei documenti stessi, mostrandoci in chiave spesso enigmatica come essi non siano altro che il racconto di chi li tramanda.

"Al centro della mia pratica artistica stanno la ricerca, la collezione e l'analisi di foto d'archivio, cinegiornali, archivi filmici e altre immagini storiche che fanno parte della nostra memoria collettiva. Estrapolati dal loro contesto storico, questi documenti sono utilizzati nel mio lavoro in un senso opposto al loro scopo originario: essi vengono dispiegati per raccontare una storia nuova.
Il fulcro del mio lavoro è il presupposto che è più importante "il modo" in cui una storia è raccontata piuttosto che la storia in sé. L'origine della storia in quanto evento vero o non vero è secondaria rispetto alla capacità dell'immagine di creare emozioni genuine e tralasciare i fatti." Stefanos Tsivopoulos

29.6.11

Tabaimo


TABAIMO (Hyogo 1975, Giappone). Vive e lavora a Tokyo.

La giovane artista giapponese esplora, attraverso i suoi video e i suoi disegni, le tensioni sociali e culturali del Giappone contemporaneo e tenta di sovvertire, in maniera ironica e vivace, gli stereotipi della sua cultura e delle sue tradizioni. I video sono meglio descrivibili come disegni animati poichè mettono in relazione i disegni di gusto familiare, della tradizione nipponica con le più alte tecnologie. Le sue immagini tratte dalla vita quotidiana svolgono una critica pungente; la sua visione “normale” e la sua profonda appartenenza al mondo giapponese è capace di dare vita ad una visione globale e informata del mondo contemporaneo.
L'artista giapponese sostiene di esplicitare nei suoi lavori il concetto di normalità. Afferma che ciò che lei ritiene normale, ciò che pensa e riversa nel suo lavoro è ciò che molti pensano. A partire da questa dichiarazione Tabaimo propone le icone della cultura giapponese che arrivano in Occidente e che spesso sono luoghi comuni, stereotipi che accogliamo come caratteristiche predominanti della cultura nipponica: il sushi, i tatuaggi, il suicidio, gli impiegati forzati del lavoro, la bandiera nazionale, la divisa delle studentesse e i luoghi quotidiani come la cucina o la metropolitana. La scelta del disegno animato stempera la provocazione dell'immagine e gli conferisce un'aura surreale. La grafica e il tratto dei fumetti rimandano ai disegni tradizionali che risalgono ai primi secoli della cultura giapponese; le sue animazioni invece sono high-tech creando uno strano ibrido ipertecnologico e antico allo stesso tempo; un tentativo di connessione tra la velocità del mondo globalizzato e la lentezza della tradizione orientale.
“Non ama gli stereotipi, anzi li sovverte. Ci prende in giro proponendo temi apparentemente innocui, insapori e inodori, desunti dalla tradizione nipponica, per poi rivelarci che lì dentro qualcosa sta "andando a male", a meno che non sia marcita addirittura. Tabaimo è la più giovane artista giapponese a essere riuscita a far parte della Triennale di Yokohama nel 2001.
Il Giappone e l'arte di grandi maestri come Hokusai entrano nelle sue videoinstallazioni per essere completamente stravolti, quasi che il fumetto e il cartone animato omaggiassero il passato con un gesto di strafottenza. Il mondo fluttuante dei classici "ukiyo-e" - i disegni anche seriali prodotti da artisti come Utamaro fin dalla metà del 1600 - diventano nelle opere di questa artista tra le più quotate al mondo una rivisitazione spesso inquietante di un mondo prossimo al manga.
Di ritorno a Venezia dopo la partecipazione del 2007, Tabaimo inserisce la sua opera video all'interno di un padiglione dedicato - come afferma il commissario Yuka Uematsu - al tema “Trans-Galapagos Syndrome”. Un'occasione per lasciare stridere la sua indubbia poesia con un potentissimo elemento nero. Quasi funereo.” Francesco Brunacci, L'Uomo Vogue, maggio-giugno 2011 (n. 421).

28.6.11

Alejandro Vidal


Un esponente dell'ultima generazione artistica spagnola, Alejandro Vidal (Palma de Mallorca, 1972) alla sua prima personale italiana.

Attento indagatore dello 'stato di sicurezza' attuale e dei codici del terrore in un ordine sociale come quello globale, Alejandro Vidal mette in scena forme ordinarie di odio e violenza della tribù urbana, richiamandosi ai precedenti modi della controcultura e alle memorie delle band elettro-punk di fine anni Settanta.
'L'estetica che precede la violenza' - sono parole di Vidal - è l'oggetto dei suoi video, delle foto, dei disegni e dei set installativi temporanei che gli consentono di spostare i margini di alcuni grandi temi, come quello del terrore, oltre i discorsi della morale entro cui normalmente è imprigionato.
La lotta di tre giovani accanto ad una scala mobile in un parco urbano, le cicatrici riportate sul torso nudo di un altro giovane con il volto coperto da balaclava, felpe, t-shirts e le immancabili sneakers. O ancora un uomo anziano che pratica il pugilato come allenamento quotidiano, sputafuoco messicani, musica trash metal, elettro punk dei Pinochet Boys, emissioni radio su scontri per droga, le ferite degli attivisti no global, sono alcuni esempi del campionario Vidal.
Ma non si tratta di mettere in atto alcuna presa diretta sul reale, piuttosto l'attitudine di Vidal fa ricorso alla staged-photography, crea una distanza critica ed estraniante, mette in scena una sorta di congelato teatro brechtiano, in cui ogni dettaglio è stato attentamente calcolato. Si tratta di set ambigui come quelli dei video 'The nature of the threat o 'Un tiro a todos los diablos', in cui la violenza è colta allo stato latente e più forte è la condizione del sospetto o della minaccia. In 'Exercises in self protection' (2003) ad esempio, tre uomini che sono colti da un obiettivo fotografico durante uno scontro, simulano invece delle pose basate su manuali di autodifesa di arti marziali.
La critica della rappresentazione di Alejandro Vidal non è quella rivolta alla mercificazione dell’informazione, semplicemente. Il fatto nuovo è che negli ultimi anni il terrore è diventato una merce semiotica. La quantità di immagini del terrore e della paura da cui siamo investiti, così come la definizione di una nuova estetica della violenza, a partire dal 9/11, mettono in scena ripetutamente un discorso dominante che è funzionale all’apparato militare-visuale, allo sviluppo cioè di un capitalismo della società della sicurezza – come quello attuale - fondato sull’economia dell’informazione. Lontano da un discorso sulla innocenza o colpevolezza iconografica, il “teatro” di Vidal persegue una progressiva squalificazione dell’immagine come tale.

Kimsooja


L’artista coreana Kimsooja è nata nel 1957 a Taegu, nella Corea del Sud, dopo gli studi di pittura a Seoul e a Parigi, nel 1998 Kimsooja si è trasferita a New York, dove vive e lavora. Le sue opere sono esposte in molti musei internazionali e ha partecipato a diverse biennali, tra cui quelle di San Paolo, Sydney (1998), Venezia (1999-2001), Lione, Taipei, Kwangju (2000), Whitney, Liverpool (2002), Valencia (2003), Lodz (2004).

Le sue opere, estremamente poetiche e al tempo stesso contemplative, attingono al background culturale della terra d’origine dell’artista e il tema centrale di molte di esse verte sul ruolo dell’essere umano nel mondo globalizzato. Dagli anni ottanta il cucito, attività appresa al fianco della madre, è divenuto l’elemento essenziale del lavoro dell’artista consentendole di passare dalla superficie bidimensionale della pittura alla tridimensionalità degli oggetti. Negli anni '80, alle sue prime esperienze artistiche, Kimsooja ritagliava e cuciva i vestiti della nonna morta. Un'attività intima, meditativa, legata alla memoria familiare. Oggi, ha aperto i suoi orizzonti e usa come base dei suoi lavori i copriletto tradizionali della società coreana, che accompagnano i suoi connazionali dall'inizio alla fine della loro esistenza: quando nascono, quando muoiono, quando fanno l'amore o sognano, e perfino quando sono costretti a migrare e lasciare le proprie terre. Di questi e altri tessuti sono composti, infatti, i "Bottari".
I Bottari, sono fagotti di tessuto realizzati a partire dal 1992 con coperte e vestiti usati, costituiscono ormai un elemento tipico del lavoro dell’artista. Presentati anche alla Biennale di Venezia del 1999, ammassati su un camion con il quale l’artista aveva ripercorso per 11 giorni itinerari a lei famigliari della Corea, questi fagotti di tessuto fanno riferimento alla tradizione coreana ma sono al tempo stesso una metafora universale di spostamento.
Nella grande installazione A Laundry Woman (Lavandaia), 2000 vediamo tessuti tradizionali coreani grandi e coloratissimi, fitti di ricami dai motivi simbolici, fissati su sottili fili metallici. Il visitatore è invitato ad aggirarsi fra i tessuti, che ondeggiano lievemente al passaggio, e a sperimentarne, da vicino e tangibilmente, la bellezza, la delicatezza e la grande energia cromatica. Percepiti nell’installazione dell’artista soprattutto come elementi estetici e simbolici.
Nella video installazione A Needle Woman (Donna-ago), 1999-2001 è l’artista stessa ad “agire” come la punta di un ago. Kimsooja rimane immobile in mezzo alla folla dei passanti di metropoli come Shanghai, Tokio, New York o New Delhi, costringendo di conseguenza le fiumane di gente ad aggirarla e a deviare. l’artista si presenta di spalle e il visitatore può vedere i volti e le diverse reazioni delle persone che la evitano.
Kimsoja è un’artista che mendica anche, come nei video di A Beggar Woman (Donna mendicante 2000 - 2001) oppure contempla paesaggi e fiumi con la sola ambizione di diventare "un individuo senza il bisogno d’essere niente di speciale, ma libero dalle follie e dai desideri umani". Il bagno nel fiume umano di Kimsooja ricorda l’illuminazione del Siddharta di Hermann Hesse, un cammino di liberazione, "per andare oltre se stessi", verso una realtà che sfugge. Come spiega l'artista stessa: "mi sono messa nelle posizioni più basse (fino al mendicante) in cui l'uomo può trovarsi per capire meglio la sofferenza. Ho cercato di essere un barometro delle condizioni dell'umanità. Sono diventata un medium, per mostrare i drammi esistenti nella società. Ho cercato di incontrare ogni singola persona del mondo, di abbracciarla.
Mandala (2002), uno sfavillante jukebox scovato in Brooklyn e abbinato dall’artista a preghiere tibetane. Questo "ready made" mostra singolari punti in comune con la narrazione visiva buddista dell’inizio e della fine dell’universo. Parola sanscrita, "mandala" significa letteralmente "ciò che tiene assieme", e rappresenta il senso di tutta l’opera di Kimsooja, fondata in buona parte sul recupero estetico e concettuale del "cucito".
Le attività dell’artista coreana, viaggi ed esposizioni, possono essere interpretate come una costante tessitura di nuove relazioni. Kimsooja: “È la punta dell’ago a penetrare il tessuto, e noi possiamo unire due diversi lembi di stoffa con il filo che passa per la cruna dell’ago. L’ago è un’estensione del corpo, il filo è un’estensione della mente. Nel tessuto rimangono sempre le tracce della mente, invece l’ago abbandona il campo non appena terminata la sua mediazione. L’ago è medium, mistero, realtà, ermafrodita, barometro, un momento, e uno Zen.”

27.6.11

Kamal Sabran

Kamal Sabran vive a Ipoh.
E' un artista, designer e ricercatore.
Il suo lavoro si basa tra arte, scienza e tecnologia.
I suoi dipinti, i suoi cortometraggi, la sua musica e i video sono stati mostrati negli spazi artistici e ai festival nazionali dell'Indonesia e di Singapore.
Kamal è sempre alla ricerca di nuove opportunità collaborative con artisti, poeti, fotografi, disegner, musicisti ecc... per poter ampliare sempre di più la sua conoscenza artistica.
Ha la capacità di evocare un senso commovente del luogo e del tempo con l'uso dei nuovi media.
Nel 2004 ha vinto il premio come miglior artista dei nuovi media dalla Galleria nazionale d'arte della Malesia e nel 2007 ha ricevuto un'altro premio, dalla Galleria nazionale d'arte dell'Indonesia e nel 2005 è stato artista presso la residenza dell'agenzia spaziale nazionale Malesiana.
Kamal è fondatore di una musica sperimentale nota come " Space Gambus Experiment".
Ha diretto un cortometraggio intitolato 15 Malesya, si tratta di un progetto composto da 15 cortometraggi realizzati da 15 registi malesi.
Inoltre ha premiato video musicali di artisti come Peteo e Alleycats.
Kamal Sabran attualmente è membro dell'Università di scienze della Malesya.

26.6.11

Lisa Steele


Lisa Steele nasce a Kansas City (Missouri) nel 1947 e nel 1968 si trasferisce in Canada.

Importante precursore della video art in Canada degli anni '70, le opere di Lisa sono esposte a livello nazionale ed internazionale in gallerie, musei e festival.
Lisa Steele non solo è il fondatore del nastro V a Toronto (un servizio nazionale di informazione e distribuzione di video indipendenti), ma è anche editore, fondatore e redattore della rivista FUSE. La sua prima opera fu Birthday Suit - with scars and defects del 1974, in cui Lisa presenta il suo corpo nudo allo sguardo imperturbabile della fotocamera, in occasione del suo 27° compleanno. Cammina per la stanza e si mostra intera. Poi si avvicina alla telecamera e incomincia ad esaminare varie cicatrici che ha accumulato nel corso della sua vita fino a quel momento. È un lavoro che vuole essere un contro-immagine per la critica emergente del corpo femminile nel cinema narrativo. Steele descrive il lavoro: "In occasione del mio 27esimo compleanno ho deciso di fare un nastro che cronaca il cammino del mio corpo attraverso il tempo. Sono sempre stata goffa: inciampo, cado. Questo nastro accetta l'entità delle conseguenze". Un episodio piuttosto drammatico della vita privata della Steele è la morte di sua madre dove lei stessa racconta in A very personal story del 1974: "avevo 15 anni, tornai a casa da scuola e trovai mia madre morta. Infatti questo nastro racconta della storia della sua morte; fino ad allora non ho mai parlato di questo episodio. Il nastro è un tentativo di ricordare nel modo più accurato possibile un giorno nella mia vita, per far diventare la memoria del tempo presente". Molto importante è il rapporto di Lisa Steele con il suo compagno Kim Tomczak, col la quale ha iniziato a collaborare dagli anni '80, realizzando video, performance ed installazioni indagando sui problemi del corpo, sul rapporto dell'individuo con la società e, più recentemente, il delicato collegamento tra paura, fede e morte.
Il suo ultimo premio assegnato è il Governor General's Award per l'arte visiva e multimediale, assegnato nel 2005.

22.6.11

Pascal Auger



Pascal Auger è un video-regista francese,è nato il 3 ottobre 1955 a Parigi. Dopo la laurea, ha preso lezioni da Gilles Deleuze, con il quale poi ha lavorato sul cinema sperimentale, presso l'Università di Vincennes a Saint-Denis (1975-1987) e presso la stessa facoltà egli è stato docente per due anni dal 1980 al 1982. Nel 1991 ha vinto il primo premio per cortometraggi al Contemporary Art Fair di Madrid (ARCO) con Poco prima di mezzo giorno. Cinque anni dopo in Giappone ha modo di conoscere lo scrittore Jean Philippe Toussaint con il quale ha collaborato in diverse occasioni, come testimonia Journal de Tournage a Tokyo. Toussaint infatti, ha raccontato in prima persona il suo incontro con l’artista francese avvenuto alla fine d’aprile sulla terrazza di un ristorante, ed è qui che hanno scambiato alcune considerazioni circa la programmazione delle riprese del video Faire l’amour ispirato al libro dello stesso Toussaint. Faire l’amour è un romanzo che ha come sfondo una Tokyo malinconica, vissuta unicamente attraverso gli occhi e le emozioni del protagonista, un francese sbarcato dall'aereo con la sua compagna, la stilista Marie, invitata ad allestire una mostra personale di moda in un importante museo della capitale giapponese. A partire da questi esili elementi narrativi si dipana la storia della reale o presunta fine dell'amore tra i due. Nel quartiere di Shinjuku, nella stanza di un hotel di lusso con le finestre ermeticamente sigillate e invasa dalle valigie e dai preziosi abiti della mostra, si svolge il confronto muto e sordo della coppia con l'impossibilità di vivere ancora insieme, di fare l'amore, come sembra ingiungere provocatoriamente il titolo del romanzo. Disorientati dal nuovo fuso orario i protagonisti compiono azioni sconclusionate, si avventurano come sonnambuli in passeggiate notturne sotto la neve con abiti incongrui, avvolti in un tessuto urbano fatto di acciaio, cemento e vetro in cui consumano il loro disamore tra grattacieli illuminati e scale mobili scintillanti. Il lavoro di Auger è stato eseguito negli stessi luoghi in cui si svolge il romanzo. Per le riprese infatti, i due hanno noleggiato una vettura, viaggiato all’interno di metropolitane e taxi, prenotato una camera al Century Hyatt in cui per dieci ore di fila lo scrittore ha letto il suo racconto quasi interamente dinanzi alla telecamera avendo come sfondo le luci della notte di Tokyo. La lettura del romanzo non è avvenuta unicamente all’interno della locale ma anche all’interno del taxi e della cucina Bernard a Kyoto. Caratteristica costante dell’opera è stato il trittico. Il video infatti è stato scomposto in tre parti e Toussaint col suo libro spesso è stato centrale, circondato ai lati da grandi grattacieli, strade trafficate, o come alla fine, da monitor che hanno mostrato in anteprima l’abbandono della scena da parte dello scrittore.

Ericka Beckman


Ericka Beckman è una regista e artista americana nata nel 1951. Tutti i suoi film sono incentrati su giochi di ruolo, e ama mescolare l'estetica tradizionale e valori culturali con fiabe, creando ibridi con nuove regole. E' diventata famosa nel 1980 con i suoi film sperimentali Switch Center, Blind Country e Cindarella. I suoi lavori sono stati esposti in festival, musei, gallerie di tutto il mondo. Tra i numerosi premi ricevuti per i suoi lavori spiccano: due borse di studio dal National Endowment for the Arts, due a New York State Concil on the Atrs grants, e uno del Massachussets Cncil on the Arts. I suoi film sono nella collezione del Centre Pampidou di Parigi, il Museum of Modern Art e il Walker Art Center.

20.6.11

Peter Weibel


Peter Weibel nasce nel 1944 a Odessa; studia letteratura, filosofia, medicina, logica e cinema a Parigi (Francia) e a Vienna (Austria); dal 1966 realizza opere di foto-letteratura concettuale così come pezzi audio, testi, oggetti e performance; alla fine degli anni 60 lavora nel campo del Cinema Espanso, dell'Action Art, delle performance e del cinema insieme alla sua partner Valie Export; le sue attività interdisciplinari comprendono lavori scientifici, artistici così come letterari, fotografici, grafici, plastici e digitali. In quanto teorico e curatore diviene a.o. curator della Neue Galerie, di Graz (Austria) e Professore al Hochschule für Angewandte Kunst, Vienna (Austria), così come commissario per il padiglione austriaco alla Biennale di Venezia; dal 1989 al 1994 è direttore dell’Institut für Neue Medien, Francoforte (Germania); fin dal 1999 è presidente del ZKM Zentrum für Kunst und Medientechnologie, Karlsruhe (Germania); vive e lavora a Karlsruhe.

Poetica: Iniziando il suo lavoro nella tradizione della poesia visiva, Weibel ha prodotto "la letteratura basata sui media" sotto forma di poesie cartacee, fotografiche e oggettuali, testi-corpo e poesia materiale, oggetti-testo e video-testi. Seguirono gli impianti concettuali e le azioni, insieme alle analisi dei media, i primi esperimenti televisivi su ORF in Austria e in seguito numerose installazioni che univano pellicola e video. Peter Weibel, nei tardi anni 70, ha sostenuto i progetti di Valie Export scrivendo le sceneggiature dei film "Unsichtbare Gegner" ("Avversari invisibili"), 1977 e "Menschenfrauen" ("Donna umana"), 1979. Tuttavia i suoi soggetti sono meno orientati al corpo e trasmettono, da un punto di vista specificatamente mediatico e semiologico, analisi sociali critiche dei sistemi e delle macchine come il cinema, la televisione e le arti visive. Weibel fu un primo ed eloquente difensore di una teoria dei media e della comunicazione, che ha applicato ripetutamente nello studio delle leggi e dei meccanismi inerenti ai vari mezzi di comunicazione.
Opere: «Die Wand, der Vorhang (Grenze, die) fachsprachlich auch: Lascaux»

19.6.11

Casaluce Geiger


Casaluce è un' artista italo-austriaca che ha iniziato i suoi studi nella scuola d'arte di Brera a Milano, diplomandosi poi presso l'istituto di Arte Applicata di Lecce nel 1983. In seguito l'artista studia legge a Parma e nel 1990 si trasferisce Baden presso Vienna, dove vive e lavora, rappresentando varie mostre personali e collettive. Da bambina giocava con le bambole in un modo tutto suo, riadattandole ad una propria visione del mondo. In seguito, ha frequentato un corso di recitazione e arte, approfondendo la scoperta del suo io, tramite un mescolamento visivo-concettuale, che le ha permesso di intraprendere una carriera nel campo della pittura e fotografia. Casaluce ha sviluppato una pittura ''violenta'' dove la bidimensionalità viene modificata. Infatti le sue opere non sono ricordate tanto per la particolarità dei temi trattati, quanto per ''la visione personale'' con cui le ha sviluppate; ad esempio i suoi nudi femminili non sono erotici ma bensì ironici, nudi con uova sui seni o spaghetti al posto dei capelli. Con Casaluce sia la pittura che la fotografia hanno cambiato significato, la si può definire un'artista gioiosa ed allo stesso tempo un'eterna bambina, ''cresciuta'' con il suo modo di giocare e divertirsi, che le ha permesso d'inventare un mondo fantastico di cui lei è sempre stata la protagonista. Anche nei suoi lavori fotografici possiamo notare che il soggetto è sempre lei, ma camuffata. Il circuito fotografico che ha inventato si basa su una fotografia in continuo mutamento chiamata ''work in progress'' dove l'artista è artefice delle sue opere e la sua identità è priva di elementi anagrafici stabili.

14.6.11

Annette Barbier


Annette Barbier è un'artista i cui lavori sono iniziati nella scultura e son arrivate fin al video, attraverso le nuove tecnologie, tra cui la computer animation, la realtà virtuale e net art.

Laureata alla School of Art Istitute of Chicago con un MFA. Ha lasciato l'università per trascorrere un anno in Francia, un anno formativo per la propria cultura e la propria crescita.
Anni dopo, ha vinto una borsa di studio Fulbright in India. Ha viaggiato molto, realizzando alcuni diari di viaggio incentrati sulla sua concezione del mondo.
Un lavoro più recente è il prodotto di un viaggio di profonda commozione dal Vietnam nel 2003.
Barbier è presidente della Interactive Arts and Media Department presso la Columbia College di Chicago, ed è stato in precedenza direttore Arts and Technologies Center e professore alla Northwestern University. Insegna nuovi media, computer animation e videoinstallazione.
I suoi lavori sono distribuiti dalla Data Video Bank.
Barbier vive ai margini di una riserva forestale con il marito, collaboratore di Drew Browning.
Lei è ispirata da questa stretta connessione con l'ambiente naturale.

Godfrey Reggio


Godfrey Reggio è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. È conosciuto principalmente per la sua Trilogia qatsi, con la quale ha inventato un nuovo stile cinematografico. I film che compongono la trilogia, infatti, Koyaanisqatsi, Powaqqatsi, e Naqoyqatsi, senza parole e senza attori, sono basati sulla intensa combinazione di sole immagini, realizzate con una estrema cura fotografica, in un montaggio ritmato dai suoni e dalla musica scritta da Philip Glass. Si tratta di opere tese ad ottenere un forte impatto visivo, per mostrare l'effetto distruttivo che l'attuale civiltà industriale ha sull'ambiente e il disequilibrio sociale fra il nord e il sud del mondo. Le sue innovazioni, quali l'uso di immagini rallentate o accelerate, in combinazione con musica di tipo minimalista, hanno presto costituito un modello stilistico largamente ripreso in tutto il mondo, tanto nel cinema che nella pubblicità televisiva.

13.6.11

Francesco Vezzoli

Francesco Vezzoli nato a Brescia nel 1971,ha studiato alla Central St. Martin's School of Art di Londra. Attualmente vive e lavora a Milano. É uno degli artisti contemporanei italiani più affermati a livello internazionale. Le sue opere sono state selezionate tre volte per rappresentare l'Italia all' Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia, nella 49° edizione del 2001, nella 51° edizione del 2005 e nella 52° edizione del 2007. Suoi lavori sono stati inclusi in diverse altre esposizioni Biennali internazionali, come la Whitney Biennial nel 2006, la 26a Biennale di San Paolo, il 6 ° Biennale Internazionale di Istanbul.Il suo curiculum artistico vanta mostre personali in varie sedi nazionali ed internazionali, come la Galleria nazionale del Jeu de Paume,Parigi, il Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea di Torino, il New Museum of Cntemporary Art di New York. Ha partecipato a mostre collettive in sedi internazionali come la Whitechapel Art Gallery di Londra, lo Studio Museum di Harlem New York, la Tate di Liverpool. Ha inoltre partecipato alla mostra "Fatto in Italia", video selezione curata da Paolo Colombo al Centre d'Art Contemporain di Ginevra e poi all' ICA di Londra. Nel 2010 ha partecipato alla mostra collettiva "Spazio. Dalle collezioni MAXXI arte e MAXXI architettura" al Maxxi di Roma.

Vezzoli utilizza diversi mezzi espressivi, tra qui l'uncinetto, con cui ricama lacrime d'oro o color sangue su centrini raffiguranti le sue icone popolari più amate, la scultura, e soprattutto i video. Indagatore dei miti della cultura popolare, nelle sue opere sono spesso presenti “icone Pop” o “Star” del piccolo e grande schermo, frequentemente coinvolte nei vari progetti utilizzando bizzarri escamotage. Il suo obbiettivo dice è quello di “decostruire lo strumento della promozione. Vorrei che il mio lavoro fosse lo specchio dell’effimero mediatico” Leit-motiv dei suoi lavori è un mix di cultura cinematografica alta e di trash televisivo.
Nel 2005 ha presentato alla 51ª Biennale di Venezia (nell'ambito della mostra L'esperienza dell'arte) un filmato di 5' dal titolo "Trailer for a Remake of Gore Vidal's Caligula", pensato per un ipotetico remake pornografico del film "Io,Caligola" di Tinto Brass . Nel trailer, ambientato in una villa ultra-kitsch di Hollywood, compaiono star come Milla Jovovich , Benicio Del Toro, Courtney Love, Barbara Bouchet, Adriana Asti ed i costumi sono stati ideati da Donatella Versace.
In "Democrazy", presentato alla 52ª Biennale di Venezia, Sharon Stone e Bernard-Henri Lévy si contendono la presidenza degli Stati Uniti d'America in una finta campagna elettorale, mentre Natalie Portman e Michelle Williams dirette da Roman Polanski si contendono un profumo in "Greed".

Santiago Sierra


L’artista di fama mondiale è conosciuto per le sue opere provocatorie realizzate dentro e fuori gli spazi dedicati all’arte. La sua produzione non è basata su un unica tecnica ma spazia tra la scultura minimalista, la fotografia concettuale, la perfomance e la body art mettendo costantemente in discussione i limiti e le imposizioni della società contemporanea rivelandone le sue contraddizioni. Affronta tematiche sociali quali la prostituzione, l'immigrazione, la povertà, il razzismo, la violenza e la guerra. Per le sue performance l’artista seleziona persone provenienti dagli ambienti marginali, le quali per necessità accettano le condizioni che stabilisce l’artista in cambio in un compenso. L’accettazione di questi emarginati a fare da materiale scultoreo dimostra come il lavoratore sia costretto a farsi manovrare all’interno del sistema capitalista, vendendo il suo tempo e il suo corpo. Per “A Person Paid for 360 Continuous Working Hours” (2000 New York), Sierra fece innalzare una parete diagonale di mattoni che suddividesse una delle sale della galleria in due spazi: uno destinato alla segregazione totale (tranne l’apertura per la consegna del cibo) di un operaio il quale aveva accettato di lavorare per 360 ore continue per un compenso pari a dieci dollari ad ora; l’altra metà dello spazio era, invece, adibita al pubblico, per l’osservazione di questa azione di strumentalizzazione del corpo e di vendita del proprio tempo privato. Sempre nel 2000 a Berlino, sei profughi provenienti dalla Cecenia hanno accettato di collocarsi entro altrettante scatole di cartone quattro ore al giorno e per la durata di sei settimane, riscuotendo il salario clandestinamente, a causa del loro status di esiliati politici. Nello stesso anno pagò quattro prostitute dipendenti da eroina con una dose di droga per farsi tatuare sulla schiena una linea orizzontale nera, complessivamente lunga 160 cm. Alla 49° Biennale di Venezia (2001) Santiago Sierra, constatando che nella città di Venezia c’è un grande numero di venditori ambulanti illegali, ha assunto 133 immigrati a condizione che i loro capelli fossero scuri di natura, e che accettassero di farseli dipingere di biondo, riscuotendo la somma di 120.000 lire. L’opera pertanto ha preso il titolo di “133 Persons Paid to Have their Hair Dyed Blond”. Nel 2002 al Kunsthalle di Vienna furono contrattati 30 lavoratori in base al colore della loro pelle, per fare una scala tonale. Queste persone furono disposte con la faccia alla parete vestiti solo con gli indumenti intimi. Per il suo contributo alla 50° Biennale di Venezia (2003) Sierra interviene su quello che dovrebbe essere il “contenitore” del suo lavoro rendendolo esso stesso come materiale di partenza per le sue opere: blinda il padiglione spagnolo con una cortina di mattoni e ne vieta l’accesso a tutti i visitatori non spagnoli. Molti visitatori non spagnoli, bloccati dalle guardie all’ingresso hanno tentato di entrare con vari stratagemmi. L’artista ha evidenziato cosi le ambivalenze tra la curiosità di vedere l'interno, l'insofferenza per il divieto da parte del visitatore e, al tempo stesso, il capovolgimento intenzionale del lavoro che è quello di escludere invece che accogliere il visitatore. L’artista Santiago Sierra, ha proposto tra ottobre 2005 e il gennaio 2006 presso la Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento il suo primo progetto specifico per uno spazio pubblico italiano, “Una persona”. Una sola persona per volta viene fatta entrare nella galleria vuota, percorre circa 600 metri, solo per accorgersi che non c’è via d’uscita ed è quindi costretta a ripercorrere all’indietro la strada. L’artista approda a Napoli nel 2008, visita Ponticelli, studia il contesto e cerca di carpirne le profonde motivazioni. Dopo l’incendio dei campi rom, si reca sul posto ed entra in contatto con le ultime due famiglie rom rimaste, prima dello sgombero definitivo. I risultati di questo lavoro sono diciotto fotografie in bianco e nero di vario formato, dei denti digrignati degli ultimi rom disseminati in tutta la città e all’interno del museo Madre. Presente all’interno del museo, anche un video del rogo del campo. Nel 2009 Sierra realizza una scultura che ha la forma della parola "NO", una negazione che può viaggiare in tutto il mondo e divenire il protagonista monumentale di un film. Dopo una mostra durata due mesi, il NO partì da Lucca verso Berlino. Il viaggio è stato documentato ed è stato presentato in anteprima mondiale nel febbraio di quest'anno al Festival Internazionale del Cinema di Berlino.Santiago Sierra è stato il prima artista a rifiutare il Premio Nazionale delle Arti 2010, del Ministero della Cultura, che ogni anno assegna 30.000 euro ogni anno all’artista selezionato. La notizia sollevo molte polemiche e fu l’ennesimo atto di ribellione di Sierra contro la commercializzazione dell’arte.

Stephanie Allespach


Stephanie Allespach è un artista tedesco-americana, curatrice che vive e lavora tra Los Angeles e Berlino, nata in Texas, cresciuta prima in Ohio e poi in Germania. I suoi lavori sono un mix di mezzi che vanno dal video alla scultura, passando per la fotografia e il collage, cercando idee e immagini che informino in modo sempre imprevedibile.Il suo lavoro esplora concetti come l'osservazione-documentario e la teatralità quotidiana. In particolare l'intreccio tra immaginario e reale, ad esempio un tema ricorrente sono i paesaggi espressi come oggetto. La Allespach ha ricevuto il titolo accademico Bachelor of Fine Arts, presso la School of Art Institute di Chicago e il master MFA dalla all'Art Center College of Design. Getty Museum, il Los Angeles County Museum of Art, il Southwest Museum, il Torrence Museum of Art, il Museo Fowler, l'American Cinematheque, il Los Angeles Contemporary Exhibitions, il Contemporary Art Center di Pasadena.
Una delle opere piu' recenti e importanti è il pezzo Shadow Factory: Teufelsberg. Girato in un edificio abbandonato, prima adibito a quartier generale di spionaggio costruito in cima a Teufelsberg (sulle montagne del Diavolo), punto piu' elevato di Berlino. La collina oggi conserva un cumulo di macerie della Seconda Guerra Mondiale tra cui anche una vecchia scuola nazista.

Questo centro, che durante la guerra raccoglieva informazioni, oggi funge da casa abusiva e luogo di ritrovo per musicisti e graffittari, che sfruttano le qualita' acustiche della cupola.
La Allespach cerca di far trasparire la struttura diroccata immortalando i muri distrutti e le bottiglie rotte che si intrecciano con le trasfigurazioni ambientali. Fumo, nuvole, calcestruzzo, acciaio, per lei tutto è effimero.
La fotocamera procede ruotando verso l'alto e creando spirali, viaggia da un interno all'altro. Luce e oscurita' di alternano nel riflessivo spazio sotterraneo.
Tutte le opere della Allespach provocano questa profonda connessione tra spazio e sentimento. C'è una stratificazione dell'ambiente: mostrando l'immenso si spienge lo spettatore verso il suo interno, la solitudine del corpo spinge a coinvolgere i nostri pensieri, le nostre emozioni e sensazioni. Un momento di decisione e riflessione dove lo spettatore diventa soggetto e il bordo, il confine dell'opera svanisce progressivamente.

Rebecca Baron

Rebecca Baron realizza film e installazioni di immagini in movimento. I suoi lavori premiati sono stati proiettati ampiamente negli Stati Uniti e all'estero, tra Rotterdam, Londra, Toronto Oberhausen, Ann Arbor e New York Film Festival, Whitney Museum of American Art, MAK Museum di Vienna, Flaherty Film Seminar, Orphans Film Symposium, IMMAGINI , Cinémathèque Française, e Viennale. Ha conseguito un dottorato in lettere presso la Brown University e AMF della UC San Diego. Lei è il destinatario di un Guggenheim Fellowship 2002 e attualmente insegna presso CalArts.
Baron sarà protagonista di una serie di grandi progetti da metà degli anni 90 con la nuova serie di video, "Lossless", realizzato in collaborazione con Douglas Goodwin. In questa serie, gli artisti cercano di scoprire le differenze tra il flusso di bit e la striscia di celluloide. Il lavoro di Goodwin e Baron, ci porta più vicini al cuore dell'immagine video digitale, sezionando la sua anatomia per esporre i suoi meccanismi estasianti.

Emil Goh

Emil Goh è nato a Johor Bahru nel 1966 e trascorre la sua infanzia crescendo in varie città della Malaysia, di cui tre anni di studio a Singapore. Si è trasferito in Australia nel 1985 dove ha studiato fotografia e scultura al Sydney College of the Arts. In seguito ha conseguito il Master al Goldsmiths College, Londra. Goh è stato artista in residence presso Agnes B. Londra, Hayward Gallery, Londra, Hong Kong University eSSamziepsace, Seoul. Ha tenuto numerose mostre in Italia e all'estero, tra cui: Biennale di Busan, Busan, 2004; Slow Rushes, Contemporary Art Centre, Vilnius, 2004; Mix-Ed,Sherman Galleries, 2004; Posizione Posizione, Australian Centre for Photography di Sydney, 2003, Frutta , Powerhouse Museum, Sydney, 2003; Housewarming, ArtspaceParasite, Hong Kong, 2003; REMAP, Museo Laforet, Kokura, Giappone, 2002;Buddha: Past, Present, Future, Art Gallery of New South Wales, Sydney, 2002; GohEmil 1996-2002, Centro Arte Contemporanea del South Australia, Adelaide, 2002;nuove uscite, 4A Gallery, Sydney, 2001;! Sydney Vienna! Akadamie Bildenden Kunst di pelliccia, Vienna, 2000) e Arus / Galleria Nazionale d'Arte di flusso, Kuala Lumpur,2000.

Affascinato da quanti giovani coreani vogliano costruire una vita online, Emil Goh ha iniziato a fotografare gli utenti di Cyworld, una comunità virtuale che consente agli utenti di creare stanze con varie pelli e altre icone di mobili ed elettrodomestici. Nel lavoro di Goh, questi universi immaginati sono contrappunti ideale per esplorare le tante situazioni diverse che si vivono in Corea. Egli descrive "regolare 3-4 appartamenti per famiglie camera da letto per armadio di dimensioni" goshiwons "per stipare gli studenti, spesso larga come letto matrimoniale." Goh mostrerà il suo lavoro: ha creato la sua offictel (ufficio + hotel, un coreano multi uso stile di abitazione), la camera mini che egli ha creato nella vita reale basato sulla sua minicamera online.

Nato in Malesia, Emil si è laureato presso l'Università di Newcastle e ha continuato a studiare fotografia e scultura al Sydney College of the Arts e alla fine degli anni '90 ha guadagnato il suo Master in Fine Arts presso il Goldsmith College, University of London. Per molti anni, si è mosso tra le grandi città dell’ Asia, Australia ed Europa.Abbiamo incontrato lo scorso anno nella Chinatown di Sydney, in apertura alla Galleria 4A (Asian Australian Artists Association) di cui fu membro fondatore.
Dopo Londra, Emil ha trascorso del tempo a Hong Kong e nel 2003 è stato assegnato un soggiorno Asialink a Seoul, una città che ha finito per amare e dove alla fine si stabilì. Di recente, aveva fatto numerose esposizioni, ha insegnato arte e design a un numero di coreani e stava lavorando su una serie di progetti di arte e design, tra cui i baccelli meditazione design-da-te.
Era un artista ossessionato effimero e quotidiano.La produzione di Emil è stata notevole. Nel 2005 espone alla Jakarta International Video Festival in Seoul: sino ad oggi a Copenaghen. Il suo lavoro è stato incluso nel Mix-Ed Sherman Galleries, 2004, in Posizione Posizione, presso il Centro per la Fotografia Australia, Sydney, 2003, e nel 2004 ha partecipato alla Biennale di Busan Busan al Metropolitan Art Museum. Emil aveva residenze a Londra, Hayward Gallery, Hong Kong University, i cinesi Arts Centre di Manchester e SSamzie Space, Seoul.
Ricordiamo con piacere il lavoro di Emil, tra, presso l'antica Performance Space di Redfern. Visualizzazione della sua intimità e la consueta leggerezza del tocco, era composta di 360 º panorami video aveva fatto da perching ruotando la sua telecamera miniDV sul davanzale della finestra per rivelare una vista a 180 ° della parte interna di una stanza familiare in due città diverse,e la vista dall'esterno. Al momento ha descritto l'impulso per il lavoro così: "La mia infanzia è stata spesso l'intero movimento in tutta la Malaysia, quando mio padre fu trasferito per lavoro. E 'stato divertente kinda che crescono in case di tanti diversi. Come risultato, sono rimasto affascinato come la gente vive da allora. "
Questo fascino estesa a vita online in serie MyCy Emil made in Corea, la città che divenne il centro per il suo lavoro. "Ciò che rende così interessante è MyCy il miniroom E 'una stanza vuota che un utente può decorare così, in sostanza, diventa il loro soggiorno on line' "o qualsiasi altro tipo di spazio che desiderano. In superficie, sembra banale, ma è un riflesso della vita a Seoul. La maggior parte vive con i genitori fino a che non si sposano e la casa in generale è esclusivamente per la famiglia, non un luogo di socializzazione. Così il miniroom è la manifestazione pubblica di uno spazio perfetto 'privato'. Da qui la mia fascinazione per situazioni di vita domestica si è esteso alle versioni on-line e l'associazione mi permette di esplorare sia i paesaggi. "
La sua documentazione lo ha portato su alcuni sentieri,ci sono raccolte di amici e colleghi lungo la strada. Una di queste dice: "Egli stava raccogliendo le immagini della città.Secondo il suo ultimo rapporto che aveva più di 49.000 nel suo hard-drive. Avrebbe potuto trascorrere giorni in sella alla sua bicicletta con GPS migliorato tenendo colpi di edifici, persone o solo diversi tipi di kimchi. Giuro ho visto fotografare ogni singolo piatto che abbiamo ordinato al ristorante. Egli ha raccolto tutti i tipi di telefoni cellulari solo per il piacere di capire come funzionano. Ha anche avuto un iPhone quando non era possibile usarlo in Corea solo per giocare con l'interfaccia utente.