31.7.09

James Whitney

James Whitney nacque nel dicembre del 1921 a Pasadena ,in California e visse nei pressi di Los Angeles.Studiò pittura e viaggiò in Inghilterra dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1940 ritornò a Pasadena.James collaborò con suo fratello John per alcuni dei suoi film.Il primo dei film del fratello fu Twenty-Four Variations on an Original Theme.La sua struttura fu influenzata dai principi seriali di Schoenberg. James trascorse tre anni lavorando a Variations on a Circe(1942),che fu fatto con una pellicola da 8mm.James e John crearono le loro serie di film tra il 1943 e il 1944,per cui i fratelli vinsero un premio per il miglior suono al Brussel Experimental Film Competition nel 1949.
Nel 1946 i fratelli visitarono il Museo d’Arte di San Francisco per far vedere i loro film al primo dei dieci festival annuali. Durante questo periodo James si interessò alla psicologia Jungian,all’alchimia allo yoga, al Tao e al Krishnamurti. Questi interessi lo influenzarono fortemente per i suoi lavori successivi. Tra il 1950 e il 1955, James ha lavorato per costruire un capolavoro davvero sbalorditivo, Yantra. Il film fu prodotto interamente a mano. Pungendo delle griglie in card 5''x7'' con uno spillo , James fu abile di dipingere attraverso questi buchi in altre card 5'' x 7'', per creare immagini di ricca complessità e dare al lavoro finito un movimento molto dinamico e fluente, ma il film non era ancora completato. Fù prima realizzato come un film silenzioso. Un corto estratto di una precoce versione di Yantra fu mostrata a uno degli storici Voncerti Vortex nel planetarium Morrison di San Francisco nel 1959. Subito dopo, il film acquistò la sua colonna sonora, un estratto dal "Caino e Abele" di Henck Bendibgs.Un'analogo equipaggiamento computerizzato sviluppato dal fratello John, permise a James di completare Lapis (1966) in 2 anni, quando altrimenti ne avrebbe impiegati 7. James disegnò ancora schemi di punti per questo film, ma la camera fu posizionata usando il controllo del computer, permettendo a ogni immagine di essere coperta da molteplici angoli. In questo pezzo,cerchi più piccoli oscillano dentro e fuori in un array di colori che ricordano un kaleidoscopio che viene accompagnato da una musica di un sitar indiano. Lo schema diventa ipnotico e induce in trance.

Stanley VanDerBeek

Stanley VanDerBeek studiò arte e architettura prima al Cooper Union College di New York e successivamente al Black Mountain College nel Nord Carolina,dove conobbe l’architetto Buckminster Fuller,il compositore John Cage e il coreografo Merce Cunningham.VanDerBeek iniziò la sua carriera nel 1950 facendo film artistici indipendenti imparando contemporaneamente animazioni e tecniche. I suoi primi film,girati tra il 1955 e il 1965 consistono per lo più in disegni animati e collage,combinati in forma di evoluzione .
Le composizioni ironiche di Stan VanDerBeek furono create nello spirito del surreale e del collage dadaisti,ma con una selvaggia e rude informalità simile all’espressionismo della Beat Generation. Costruendo il suo teatro ,Movie Drome,al Stony Point di New York, egli realizzò gli show usando multiproiettori.Queste presentazioni contenevano un gran numero di sequenze di immagini continuative,col risultato che le performance erano gradite.
Il suo desiderio per l’utopico lo condusse a lavorare in coperazione con Ken Knowlton al Bell Labs, dove dozzine di computer,film animati ed esperimenti olografici furono creati dalla fine del 1960.Tra il 1964 e il 1967 VanDerBeek creò Poem Field,un aserie di otto animazioni generate a computer con Ken Knowlton.Durante lo stesso periodo, ha insegnato in molte univeristà, ricercando nuovi metodi di rappresentazione, dalle proiezioni del vapore al Museo Guggenheim alle trasmissioni televisive interattive della sua "Violence Sonata" trasmessa su alcuni canali nel 1970. Si spostò all'Università del Maryland, programma di arti visuali della Contea di Baltimora fino alla sua morte.

Lillian Schwartz

Lillian Schwartz è conosciuta per il suo lavoro pionieristico nell’uso del computer per l’arte generata al computer e per l’analisi dell’arte effettuata con il computer, includendo grafiche, film, video, animazione, effetti speciali, Realtà Virtuale e Multimedia. Il suo lavoro era riconosciuto per il successo estetico ed era il primo prodotto con questo mezzo per essere acquisito dal Museum of Modern Art. I suoi contributi nell’avviare un nuovo campo di ricerca nelle arti, nell’analisi dell’arte, e nel campo della realtà virtuale è stato recentemente premiato con il Computer-World Smithsonian Awards. Schwartz ha cominciato la sua carriera nella computer art quando la sua scultura cinetica, Proxima Centauri, fu selezionata dal Museum of Modern Art per la Machine Exhibition del 1968. Poi espanse la sua area di lavoro al computer quando divenne consulente dell’AT&T Bell Laboratories, dell’IBM Research Laboratori e dei Bell Labs. Da sola e con la cooperazione di ingegneri, scienziati, fisici, psicologi sviluppò nuove tecniche per l’uso del computer per film e animazioni. Oltre a stabilire la computer art come un campo vitale di sforzi, Schwartz contribuisce all’area scientifica come il visivo, la percezione del colore ed il suono. I suoi sforzi personali hanno condotto all’utilizzo del computer nella filosofia dell’arte, molto rilevante è lo studio delle opere di artisti come Picasso e Matisse per investigare il loro processo creativo. I suoi studi in questo campo si concentrano soprattutto sul Rinascimento Italiano e sugli affreschi; ne sono esempio la ricostruzione tridimensionale del Refettorio di Santa Maria delle Grazie per studiare la costruzione prospettica dell’Ultima Cena di Leonardo, e più recentemente, un modello dell’inclinazione della Torre di Pisa per aiutare la sua conservazione cercando di comprenderne la struttura, i quali si sono dimostrati di valore inestimabile per gli storici d’arte ed i restauratori. L’istruzione della Schwartz cominciò immediatamente dopo la 2° Guerra Mondiale quando studiò pittura cinese con Tshiro in Giappone. Durante gli anni seguenti studiò belle arti con professionisti come Giannini, Kearns, e Joe Jones. È una autodidatta per quanto riguarda il girare un film, il computer e la programmazione. Schwartz è stata vicino alla comunità accademica essendo stata un membro in visita al Computer Science Department all’University del Maryland; professoressa aggiunta al Kean College, al Rutger’s University Visual Arts Department, alla School of Arts and Sciences al Psycology Department; e adesso è membro dell’International Guidance Panel e della Graduate Faculty of School of Visual Arts, NYC. È stata anche artista in residenza al Channel 13, WNET. Il lavoro della Schwartz è stato molto richiesto sia dai musei che dai festivals. Per esempio, i suoi film sono stati mostrati ed hanno vinto premi alla Biennale di Venezia, Zagreb, Cannes, The National Academy of Television Arts and Sciences, Emmy. Le sue opere sono state esibite e sono possedute da musei quali Museum of Modern Art, The Metropolitan Museum of Art, il Whitney Museum of American Art, il Moderna Museet (Stoccolma), Centre Beauborg (Parigi), Stedlijk Museum of Art (Amsterdam), ed il Grand Palais Museum (Parigi). Schwartz ha avuto anche numerosi riconoscimenti come la Laurea Honoris Causa dal Kean College, New Jersey. Più di recente ha ricevuto il Computerworld Smithsonian Awards in tre diverse categorie: per l’applicazione del computer come un mezzo d’arte, il suo lavoro pionieristico nella Realtà Virtuale e per i suoi contributi nella redazione di speciali tecniche nei Media Arts e Entertainment. È stata soggetto di numerosi articoli, libri, notiziari e documentari. Lei è un membro del The Workd Academy of Art & Science.
Schwartz afferma: “Con tale mezzo noi possiamo esporre, nelle sue parti costituenti, immagini che possiedono simultaneamente un certo numero di dimensioni….Per occuparsi di tale mezzo trovo necessario rompere queste specifiche dimensioni”… e prosegue … “Gli artisti devono esprimere il proprio carattere creativo con la tecnologia della loro era per trovare il loro livello storico ed individuale”. E’ stato il nudo di Leo Harmon e Kenneth Knowlton processato al computer ed esposto alla mostra della MACHINE al Museum of Modern Art nel 1968 che per primo ha attratto Lilian Schwartz verso l’arte digitale. La Schwartz partecipò alla mostra, incontrò Harmon e tramite lui fu invitata ai Bell Labs dove ha potuto collaborate con scienziati del computer, psicologi delle percezioni visive e colori, ingegneri dell’hardware, compositori di musica elettronica. Per Knowlton ed Harmon, la Schwartz rappresentò una nuova risorsa che permise di migliorare le tecniche dei loro procedimenti per la creazione di immagini. La Schwartz a sua volta ha trovato nel computer un mezzo superbo per la sua arte. Nel 1983 alla Schwartz fu commissionato di progettare un poster per l’apertura, nel 1984, del rinnovato Museum of Modern Art. L’intenzione del museo era di dimostrare il suo riconoscimento del computer come un eccitante nuovo mezzo di espressione artistica. La Schwartz digitalizzò molte fotografie di pitture, sculture, disegni, stampe e fotografie della collezione del museo. Una volta che questi oggetti erano immagazzinati nella memoria del computer all’IBM Thomas J. Watson Resarch Center, dove stava lavorando al progetto, fu in grado di modificare le loro proporzioni, di usarle come sovrapposizioni trasparenti, e di combinarle con le espressioni architettoniche della nuova facciata del museo e con inusuali dipinti in prospettiva degli interni. Creò un collage senza cuciture, possibile solo attraverso il computer. Presto, il desiderio d’animare alcune delle sue opere grafiche, con l’assistenza di Kenneth C. Knowlton, condussero Lillian Schwartz ad intraprendere un lavoro pionieristico nel campo dei film al computer. La sua prima composizione, Pixillation (1970), era una combinazione di animazione al computer e frames fatti a mano, era composta da molte serie di modelli astratti accompagnati dal suono elettronico sintetizzato. Il ritmo dell’immagine era così rapido e la colorazione così intensa che spesso dovette inserire frames neri per dare agli occhi dell’osservatore una pausa. Ha usato il computer come strumento per l’analisi dei lavori di artisti come Matisse e Picasso. Lo studio ed il paragone di elementi strutturali e composizionali giocano un ruolo fondamentale nel lavoro di questa artista come dimostra la sua famosa immagine Monna/Leo del 1987.

12.7.09

Moio&Sivelli

Luigi Moio(Napoli, 1975) e Luca Sivelli (Napoli, 1974) vivono tra Napoli e Londra.
Mostre personali: “Ensnaring”, BLINDARTEContemporanea, Napoli, 2005; “21 Woodgrange Avenue”. anteprima video, a cura di Memmo Grilli, Pinterrè, Napoli. Collettive, eventi: “Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo”, a cura di Gigiotto Del Vecchio, Castel Sant’Elmo, Napoli; “Videominuto pop” Kaleidoscope, anteprima video, a cura di Andrea Mi, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato; “overview”, festa nazionale de l’Unità sui Beni Culturali, a cura di Luigi Giovinazzo, Villa Bruno, San Giorgio Cremano (Napoli); “Fair play”, Rassegna videoarte, a cura di Laura Carcano, Complesso di Santa Sofia, Salerno. “Decontesto”, salone della moda arte e design, Mostra D’oltremare, Napoli (2005); ARTISSIMA 10 vista dagli occhi di MOIO&SIVELLI, anteprima video, Lingotto fiera, Torino; "Any suggestion?", a cura dell’Associazione culturale MOSI e del Comune di Amalfi e dell’Accademia di Belle Arti di Napoli (2003).

Massimo Pianese

Massimo Pianese, nato a Napoli nel 1979 dove vive e lavora, si diploma in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Dal 1999 è presente a numerose collettive in Italia e all’estero quali Vele d’Artista presso il Castel dell’Ovo di Napoli nel 2001; Campi Magnetici al F.R.A.C. di Baronissi (SA) e Premio Stella al Palazzo Stella di Crespellano (BO) nel 2002. Nel 2003 partecipa ad Anteprima della XIV Quadriennale di Roma, presso il Palazzo Reale di Napoli. Nel 2005 è presente con la galleria Umberto Di Marino Arte Contemporanea al Bologna Flash Art Show; a Fair Play, presso il Complesso di Santa Sofia di Salerno, a No Parachute, all’Artandgallery di Milano, all’ Icehotel Art&Design 2005/06 presso l’Icehotel di Jukkasjarvi in Svezia. Nel 2006 è presente a Full Play Palazzo Genovesi, Salerno, a draw_drawing_2, The Foundry, Londra. Ha partecipato inoltre a molte rassegne di videoarte e multimedia, tra cui Salto nel vuoto, Milano Film Festival , Milano 2001 e A_D_E (Art Digital Era), web experiences, Festival Internazionale Inteatro, Polverigi (AN) 2002. Nel 2004 è tra gli artisti selezionati del concorso Pagine Bianche d’Autore per l’edizione campana 2004/05. E’ tra i giovani artisti presenti alla selezione per il Premio Cairo 2005. Nel 2006 è selezionato e premiato per la mostra concorso Selected Works indetto da Avision, Bassano del Grappa; è presente ad Altissima 13 Torino per il progetto Pan.archive[d], 2006. E’ l’unico artista italiano invitato alla mostra Transparent, Fiskars, Finlandia, 2007; nello stesso anno è presente a Musae, Circuito del Lago Maggiore, Stresa - Verbania; New Entry, C/O care of – Fabbrica del Vapore, Milano; Nestube, Festival della Creatività, Firenze. Selezionato per Art Tech Media Cordoba 0.8, Cordoba, Spagna 2008. Espone nello stesso anno presso la Galleria Annarumma404, Napoli alla mostra Fruits in Season, a Giunglavideo3, Parco di Villa di Toppo Florio, Buttrio (Ud), ad Articorte, Musae, Villa Sissi, Levico Terme (TN), Loading, Castello Baronale Acerra (NA). E’ tra gli artisti invitati a dare il proprio contributo per la mostra-asta 200 artisti per Careof, Careof – DOCVA, Milano, 2008. E' tra gli artisti invitati da Alec Crichton al progetto "souvenirs from earth" tv tematica via cavo di sola videoarte in onda in Francia e Germania. E' presente a "2 anni di 2video" presso neon>campobase, Bologna 2009 per il progetto "2video" di Undo.net curato da Francesca Di Nardo. E’ tra gli artisti selezionati per Video.it presso la Fondazione Merz di Torino; è finalista al concorso RomaEuropa WebFactory (sezione videoarte), curato da Bartolomeo Petromarchi e promosso dalla Fondazione RomaEuropa e Telecom Italia Spa. Espone nello stesso anno alla mostra Incontri Imprevisti (ovvero, metti una sera d'estate) presso la Siniscalco Arte di Milano e a Interplay – Premio Termoli 2009, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Termoli a cura di Carla Subrizi e Miriam Midolla. E’ vincitore di una residenza d’artista, per il periodo gennaio-febbraio 2010, presso la Lademoen Kunstnerverksteder, Trondheim, Norvegia. Dal 2003 collabora con l’artista Gian Marco Montesano. Massimo Pianese Work Concept Una ricerca partita dal corpo - attraverso calchi in gesso e lattice di porzioni anatomiche, immagini digitali etc. - caratterizzata da un impianto formale asettico e sintetico; il risvolto fisiologico che ne è seguito ha indotto l'artista ad abbandonare l'iconicità del corpo, mirando alla sua astrazione, alla sua assenza, al suo status di golem post umano. E' a partire da Holy Family, l'installazione presentata alla Quadriennale/Anteprima Napoli del 2003, che vi è l'abbandono dell'iconicità del corpo umano e l'affermazione della sua latenza, della sua assenza obbligata. Anche i video come Drug Fly, Alcantara, Piccio, Bras, Ph Landscape contengono in seno quel principio di umanità inconciliata e inconciliabile, post umana, appunto; quando i giochi ormai son fatti e non c'è un'altra chance, nessun girone di ritorno, nessuna richiamata alle armi che ci permetta una rivincita. Un’analisi che assume come primario elemento d’indagine il paesaggio ed eventi minimi che in esso gravitano, producendo alterazioni e paradossi che reinventano la sintassi del linguaggio e dell’esperienza. Protagonista risulta essere una natura inquietante, alterata dall’ uso di colori acidi e virata da una luce innaturale, dove le poche figure che la popolano si muovono a fatica, zavorrati, immobilizzati in questa artificiosità. E’ facile riconoscere in essi il ritratto di una umanità condannata a vedersi lacerare dai cattivi costumi, dai falsi valori, contro i quali neppure l’artista può proporre una via di fuga, ma solo limitarsi a documentarne la decadenza. Quindi atmosfere di vitrea sospensione, di "esistenzialismo gelatinoso" e flashback sintetici. Sovente l’artista usa riprodurre i fotogrammi video con le tecniche tradizionali della pittura piuttosto che stamparli, attuando una ulteriore lacerazione concettuale dell’immagine attraverso i vari stadi di lavorazione a cui la sottopone: ripresa video, compositing ed editing digitale.

ROXY IN THE BOX

Rosaria Bosso, in arte Roxy in the box, si esprime attraverso pittura, video ed installazioni per produrre opere caratterizzate da un’ironia mirata ad indagare gli equilibri universali dei rapporti umani. Dopo gli studi artistici presso l’Istituto Statale d’Arte Filippo Palazzi di Napoli, ha iniziato la sua carriera nel 1999 esponendo le sue opere in mostre personali e collettive presso musei, sedi istituzionali e gallerie italiane ed estere. Partendo dalla vivacità dei colori e dalla estremizzazione della pop-art couture americana, nelle sue opere mira a modificare la visione del mito moderno accentuando il potere mediatico delle persone , inoltre focalizza l’attenzione su problemi sociali ed etici che partendo dalle molteplici realtà della città di Napoli, considerata come suo personale microcosmo artistico, si riflettono sull’intero contesto internazionale. Attraverso un suo personale meccanismo creativo che implica l’analisi della quotidianità elimina ogni forma di retorica dalle sue opere pur mantenendo un sottile velo di aspra ironia che contribuisce ad acuire la drammaticità dei temi trattati.Tra le maggiori esposizioni che hanno suscitato l’interesse degli organi di stampa nazionali e internazionali, nonché delle riviste specialistiche, vi sono: “L’Impresa dell’Arte” al museo Pan di Napoli, “N.EST 2.0 the making of the city/ disegna la tua città” al museo Madre di Napoli, “Arredo Palazzo Italia”, a cura della Farnesina a Belgrado e “Cow Parade” in Piazza della Signoria a Firenze. Ha collaborato inoltre con critici e curatori d’arte quali Julia Draganovic, Gianluca Marziani, Antonio Arevalo e Micol Di Veroli.Nel 2008 il regista Massimo Andrei ha realizzato un video/documentario “Schiaffilife” sulla vita e opere di Roxy in the box, presentato in anteprima alla 13° edizione di Artecinema al teatro Augusteo di Napoli a cura di Laura Trisorio.

IABO

IABO è nato nel 1981 a Napoli dove vive e lavora. Nel 1994 inizia il suo percorso come writer, sperimentando nuove tecniche di comunicazione nell’ambiente urbano, numerose sono le crew di cui a fatto parte (KTM-13B). Nel 1997 si trasferisce per un anno in America vivendo tra New York e Los Angeles dove entra in contatto con artisti della scena underground. Nel 2003 si iscrive all’ Accademia di Belle Arti di Napoli dove frequenta il corso di Ninì Sgambati e Franz Iandolo “quarta pittura” dove si laurea in Pittura sperimentale nel 2007 con il massimo dei voti. Proseguono altri due anni di studi conseguendo la laurea specialistica in Arti Visive e discipline dello spettacolo. Molti sono stati i live performance in convention, festival, mostre e concerti a Napoli, Roma, Ancona, Bari, Milano, Bologna, Parigi, New York. Nel 2004 inaugura la sua prima personale ,Wild at heart, a Roma nello spazio espositivo LOL moda arte e design. Sempre nel 2004 arreda la stazione ferroviaria di Gianturco (NA) nell’ambito del progetto Circumwriting, progetto a cura di Evoluzioni con la partecipazione di Achille Bonito Oliva.
Ha partecipato a varie collettive:“Sistema Binario” railway station Napoli/Belgrado, “Camera con Vista” a cura di Eugenio Viola, Adriana Rispoli e Julia Draganovic al PAN Palazzo Delle Arti Napoli/Belgrado “Scala Mercalli il terremoto della street art Italiana” a cura di Ginaluca Marziani all’ Auditorium Parco della Musica Roma. Sempre nel 2005 espone alla XII edizione della Biennale dei Giovani Artisti dell’ Europa e del Mediterraneo a cura di Gigiotto Del Vecchio Napoli Castel Sant’ Elmo, nello stesso periodo espone nella collezione permanente a 100 artist for a Museum al Museo CAM Casoria (NA). Nel 2006 Dopo una serie di incursioni “illegali” nelle gallerie napoletane ha realizzato una mostra/evento: EN1 (Esprit Nouveau) la sua prima personale a Napoli alla NOTgallery; nello stesso anno inaugura un’altra personale “Segni di Vita” nello spazio espositivo BADmuseum della Bunker Art Division; ha partecipato a fiere internazionali d’arte contemporanea tra cui Arte fiera (Bologna), MiArt (Milano), Artour-o (Shanghai, Cina) e a Firenze dove vince il primo premio MFL (Maria Fulvia Leopizzi), subito dopo partecipa a Arte contemporanea Moderna Roma dove espone nella sala Under 35. Nel 2007 inaugura una nuova personale dal titolo Reazione in catena alla NOTgallery. A dicembre 2007 ha preso parte al progetto 12x12 la prima agenda di arte contemporanea in campania presentato al Museo PAN Napoli concludendo l’ intero progetto a cura di Salvatore Manzi con una mostra negli spazi del Museo PAN. Durante una serie di interventi notturni IABO viene sorpreso in flagrante dal Direttore del Museo PAN Julia Draganovic, questo incontro scaturisce una serie di collaborazioni tra cui: “Emergency room” un progetto di Thierry Geoffroy “Il sabato delle idee” a cura di Julia Draganovic mostra personale alla Fondazione SDN a Napoli. Il 2009 è segnato dalla mostra personale a cura di NOTgallery al Palazzo delle Esposizioni a Roma all’ interno della fiera “Roma the road to contemporary art” dove ottiene numeerosi consensi sia dalla critica che dalla stampa.

8.7.09

Kota Ezawa

Kota Ezawa definisce il suo modo di lavorare "videoarcheologia". L’artista rielabora al computer spezzoni di film famosi e di notiziari, reinterpretando ogni figura con l'ausilio di un programma di grafica digitale. Nella sua ricostruzione, riduce all'essenziale il contenuto delle immagini fino a farle diventare iconiche – paragonabili alla pittura astratta – concentrandosi sulle poche informazioni importanti che sono necessarie a trasmettere un messaggio. Elimina così alcuni particolari presenti nell'originale, riducendo il contenuto dell'immagine a macchie di colore dai contorni spessi, ma contemporaneamente guida l'attenzione dello spettatore sui piccoli particolari e sulle sottili atmosfere che nel flusso delle immagini andavano perdute, e attribuisce loro un significato proprio. Nelle immagini di Last Year at Marienbad, Ezawa rispecchia il purismo formale e contenutistico della narrazione di Resnais. Cita momenti essenziali del film come icone della storia del cinema, riporta nel presente le immagini sbiadite e, con il medesimo rigore formale, le riadatta nella tecnica narrativa del moderno fumetto. Partendo dall'assunto che il film e la sua vicenda siano ben noti, ottiene con mezzi minimi, in bianco e nero e senza sonoro, la stessa atmosfera mistica dell'originale e lo fa rivivere nella mente dello spettatore. Kota Ezawa (Colonia, 1969) ha presentato le sue opere in diverse sedi, tra cui The Hayward Project Space di Londra, il Santa Monica Museum of Art, l'Artspace di San Antonio, Texas; ha partecipato a mostre collettive al San Francisco Museum of Modern Art, all'Art Institute of Chicago, al MoMA di New York, al Moore Space/Museum of Contemporary art di Miami, al Caixa Forum di Barcellona, allo Shanghai Art Museum. Le sue opere sono rappresentate in collezioni pubbliche, come il MoMA di New York, il San Francisco Museum of Modern Art, il Kunstmuseum di Stoccarda, l'Israel Museum di Gerusalemme. Kota Ezawa vive e lavora a San Francisco.

6.7.09

Victor Alimpiev

Nei video di Victor Alimpiev, (Mosca, 1973) elementi di diverse discipline – dalla pittura al teatro, dalla danza alla musica – si fondono nell'immagine in movimento. Al centro delle sue opere sta l'uomo, che di rado compare come individuo, quasi sempre come gruppo, folla, “massa” plasmabile: i personaggi diventano così sculture viventi nello spazio. Il movimento della massa è scandito dalla ripetizione di gesti monotoni, dalla funzione apparentemente nota, ma svincolati dal loro contesto e subordinati alla drammaturgia dell'immagine in movimento. L'artista esplora le possibilità della messinscena teatrale e il carattere performativo del nostro agire quotidiano. Mentre nelle prime opere il punto nodale era ancora il confronto con il corpo nello spazio, in quelle più recenti – per esempio What is the Name of the Platz? (2006) e My Breath (2007) – Alimpiev si concentra sull'inserimento consapevole del canto e della parola. Il gruppo di donne che in What is the Name of the Platz? si stringe in un gesto di autoprotezione, è una riflessione sulle molteplici forme di comunicazione esistenti tra gli esseri umani ma è anche un modo di ripensare il senso estetico delle immagini. 15 attori si muovono su uno sfondo inesistente grazie alla tecnica del chroma key. Anche in questo video si riconoscono le tematiche che contraddistinguono lo stile personale dell’artista: lo studio della forma in relazione allo spazio e l’interazione tra l’individuo singolo e la collettività, tema comprensibilmente sentito in Russia. I suoi video, caratterizzati da un forte impianto teatrale e performativo, i comportamenti e le relazioni tra individui all'interno di piccole comunità, vengono reinterpretati con un ritmo visivo e sonoro che coinvolge emotivamente il pubblico. Il video My Breath è uno studio sulle condizioni del discorso e del suono musicale. Il primo piano di due visi femminili mette in scena un passa parola di esercizi di canto e di respiro, in un crescendo che si trasforma ben presto in una sfida di resistenza. Nel dispaly compaiono due donne apparentemente impegnate con un esercizio di canto. Sin dalle prime battute l’attività delle protagoniste diviene un meta – esercizio: le parole del canto in russo vengono tradotte con “Ascolta! Correggi il tuo respiro!”. Non stupisce che Victor Alimpiev, nonostante collezioni esposizioni in ogni parte del globo, dedichi il suo lavoro My Breath, presso la Galleria Studio La Città di Verona, a uno dei più grandi artisti contemporanei russi: Andrei Monastyrsky. La leggenda metropolitana vuole infatti che i grandi artisti russi si comprendano e capiscano totalmente solo tra loro, poiché solo chi nasce in quella terra può afferrare fino in fondo l’Anima Russa. Il brillante video di Alimpiev è un’opera fortemente enfatica e performativa dedicata alla comunicazione e agli strumenti corporei e gestuali con cui questa prende forma. In Summer Lightning (2004) il tamburellare delle dita sui banchi di una scolaresca ha il valore di una gentile anche se pungente critica nei confronti della tragica realtà delle guerre, evocate da immagini che appaiono ad intermittenza. Le azioni del cantare e respirare alludono a una possibile rete di connessioni etimologiche, quali spirito, aspirazione, anima. Per Alimpiev i rituali della collettività e gli atti comunicativi sono forme manifeste di civile coesistenza pacifica che aprono spazi di libertà e di pensiero.

1.7.09

Guy Ben Ner

Guy Ben Ner (Ramat Gan, 1969) ha rappresentato Israele alla LI Biennale di Venezia. Ha tenuto mostre personali al Contemporary Arts Center di Cincinnati, allo Herzliya Museum of Art (Israele) e al Musée d’art contemporain di Montreal. Ha inoltre partecipato a mostre collettive al PAN di Napoli, al P.S. 1 e al MoMA di New York, al Museo di Haifa, allo Skulptur Projekte di Münster, alla Tate Modern di Londra. Guy Ben Ner vive e lavora a New York. Fin dagli inizi la produzione artistica di Guy Ben-Ner appare incentrata sulla sua stessa persona e sulla relazione con la sua famiglia. Esaminando (sia emotivamente che fisicamente) all’interno del proprio ambito privato le differenti specie di costruzioni e di circostanze familiari, l’artista induce il suo pubblico a riflettere su valori universali e sui comportamenti che scaturiscono dalla connessione tra l’ambito sociale e le attitudini naturali degli esseri umani. Sebbene siano girati in casa e coinvolgano spesso i suoi bambini, i film di Ben-Ner sono ben lontani, per struttura narrativa e valore formale, dal film amatoriale: essi appaiono infatti come sequenze di scene accuratamente pianificate speso precedute da un copioso story-board di disegni e di studi. L’interesse per i lavori realizzati intorno alla metà degli anni ‘60 e i primi ’70 da body artists come Bruce Nauman, Vito Acconci e Dennis Oppenheim e la fascinazione per situazioni filmiche in cui il regista, il cameraman, il primo attore e la controfigura costituiscono un tutt’uno, portano Ben-Ner ad approfondire il suo interesse per i primi films di Harold Lloyd, Charlie Chaplin e, in modo particolare, per l’opera cinematografica di Buster Keaton. Il lavoro di questi registi-pionieri, infatti, influenzerà i suoi films come forma di omaggio e di parafrasi. In questo senso, la comicità grossolana – che Ben-Ner considera come un'espressione della body-art – avrà un ruolo principale nella formazione del suo interesse narrativo e nel suo linguaggio cinematografico. Un'ulteriore lezione da Buster Keaton e del suo significativo milieu è per Ben-Ner il suo "lavorare con la famiglia" e il che si riflette sulla sua opera come un totale superamento del confine tra vita professionale e vita privata, tra la “casa” e il “palco”.

Giuliana Racco

La pratica dell'artista richiede una varietà di processi e di mezzi, andando da una particolare enfasi ad una una metodologia basata sulla ricerca. Così i suoi impianti variano nella forma: fotografia, bookwork, video, installazione e azioni performative. Gran parte della ricerca si basa sulla produzione di interviste, con il risultato che la partecipazione di altri è sempre presente nella realizzazione del lavoro. Le parti implicano sia le realtà contemporanee che storiche, mentre riflettono sui concetti delle tattiche di sopravvivenza, lingua e comportamento, mediante mezzi di comunicazione differenti. I prodotti sono spesso edizioni messe a disposizione del pubblico, in alcuni casi richiedenti l'operazione di completamento da parte dell'utente. Talvolta le opere istallate fungono da luoghi di contemplazione. Dare voci ad altri, è un elemento ricorrente nella sua pratica e restituisce una qualità luogo-specifica agli impianti. Con questa interazione, e la messa in evidenza delle interconnessioni con le circostanze più generali, gli spazi e le realtà di altri sono trasformati da esperienza specifica e collettiva in qualche cosa di accesible ad un pubblico più ampio. Provenendo da esperienze vive, che sono inevitabilmente sociali e politiche, le opere sfiorano problematiche contemporanee quali l'immigrazione ed il lavoro. Racco riflette sui processi di trasformazione delle lingue (orali/scritte), sui comportamenti, su che cosa facciamo e su che cosa diciamo, come ci comportiamo e come queste cose riflettano sugli altri o sugli ambienti circostanti.

Helidon Gjergijl

Nato in Albania, Helidon Gjergji ha studiato l'arte in Italia prima di conseguire il master negli Stati Uniti.Era così colpito dalla mentalità monosuo americana che ha cominciato a montare i televisori scartati e borse di plastica per esprimere i suoi interessi all'abuso di potere politico, religioso, ed economico. Helidon Gjergji è noto in ambito internazionale per le sue riflessioni sull’attualità della pittura e sul ruolo assunto dalla televisione nella società contemporanea.
All'alba dell'era della televisione di massa, una manciata di stazioni televisive hanno trasmesso qualche programma per solo diverse ore al giorno. L'assenza di scelta significava che la televisione era autocratica, che era lei a decidere cosa e quando avrebbero guardato i suoi spettatori. La televisione essendo diventata il nuovo centro di gravità per la sfera privata sociale, ha prodotto spesso delle conseguenze non intenzionali. Attraverso la sua analisi, l’artista osserva con ironia e lucidità il processo di mistificazione e falsificazione generato dai media che, più di ogni altro, ha rivoluzionato la storia delle immagini della nostra epoca. Quello che infatti dovrebbe essere esclusivamente un mezzo di informazione e intrattenimento, si sta inesorabilmente trasformando nello specchio di un mondo virtuale ed estetizzante. Helidon Gjergji non cerca mai di avanzare una semplice critica fine a se stessa ma, il suo scopo è, piuttosto, indurre lo spettatore a porsi delle domande e riflettere su un tema che assume sempre più importanza all’interno del dibattito contemporaneo, ponendogli la duplice questione dell’ossessiva pervasività del medium televisivo e dell’annunciata e mai compiuta, profezia della morte della pittura; è così, che i suoi televisori diventano delle macchie e dei segni di un’opera viva e vibrante.